Atmosfere neomelodiche. Una prima riflessione antropologica sul ruolo della musica neomelodica nella fissazione di una memoria e di un immaginario malavitoso nel Sud Italia - Parte I
Inserito da Fatima Falsapenna il 09/01/2022, nella categoria Antropologia e Psicologia transculturale
MEMORIA E OBLIO: I PRIMI STUDI SPERIMENTALI IN PSICOLOGIA
Parte I
La curva di Ebbinghauss
Com’è noto, la memoria in psicologia è una funzione cognitiva, consistente nel mantenimento - per un arco di tempo più o meno lungo - e nel recupero delle informazioni apprese nel corso dell'esperienza. Può essere suddivisa in fasi, definite mnestiche e riconducibili alla codifica, ossia all'elaborazione delle informazioni acquisite, al loro immagazzinamento in dei registri più o meno permanenti, ed infine al richiamo di dette informazioni in risposta ad uno stimolo preciso.
Le problematiche connesse alla natura della memoria e ai suoi meccanismi di funzionamento sono state fatte oggetto di studio da parte della psicologia associazionista a partire dagli anni '70 dell'Ottocento e hanno assunto un'importanza centrale in ambito psicologico grazie alle ricerche di H. Ebbinghauss, il quale ideò un metodo sperimentale basato sullo studio delle “sillabe senza senso”, somministrate a diversi intervalli di tempo ad un unico soggetto: sé stesso. La loro utilità consisteva nell'eliminare tutte le variabili non controllabili, come, ad esempio, quelle relative ai nessi associativi che si instaurano fra parole dotate di significato e che ne facilitano o inibiscono la memorizzazione. Ebbinghauss giunse alla conclusione (rappresentabile attraverso la curva dell'oblio) che l'oblio si produce in gran parte durante i primi intervalli di tempo per poi rallentare nel corso dei successivi.[1]
In sintesi, questa tecnica ha prodotto importanti risultati, perché ha permesso di stabilire quale sia la relazione che intercorre tra la quantità di materiale da memorizzare e il tempo di apprendimento e quale quella che lega il trascorrere del tempo e l'oblio.
Lo strutturalismo inglese: Frederic C. Bartlett
Frederic C. Bartlett, strutturalista inglese della prima metà del Novecento e uno dei più illustri antesignani della psicologia cognitiva, ha avanzato dubbi circa la validità dei risultati realizzati in laboratorio, ossia in contesti completamente avulsi dalla vita reale.
Bartlett ha contestato un approccio di studio prettamente sperimentale, sostenendo piuttosto la necessità e l'utilità di condurre ricerche realizzate all'interno di contesti pragmatici e socioculturali reali, secondo una visione che oggi chiameremmo “interpretativa” della memoria.[2] Bartlett è noto anche per aver introdotto la nozione di soggettività del ricordo e per aver scoperto il ruolo determinante che l'immaginazione gioca nella ricostruzione del nostro passato.
Nei suoi esperimenti, egli utilizzava la tecnica della riproduzione a catena, che consisteva nel presentare ad un determinato soggetto il disegno di una civetta e nel chiedergli poi di ridisegnalo a memoria; la riproduzione così ottenuta veniva a sua volta ripresentata ad un secondo soggetto il quale doveva in seguito eseguire lo stesso disegno, sempre a memoria, fino ad arrivare ad un diciottesimo soggetto che finiva col riprodurre le effigie di un gatto[3].
Le stesse distorsioni della memoria venivano registrate anche in occasione della riproduzione orale, stavolta di un racconto. I partecipanti ai suoi esperimenti [di Bartlett] ascoltavano una vecchia leggenda indiana intitolata “La guerra dei fantasmi” e dopo la raccontavano in più occasioni. Bartlett scoprì che raramente gli eventi venivano rievocati con accuratezza; i soggetti spesso ricordavano circostanze che avevano senso in generale o che rispondevano alle loro aspettative su quanto sarebbe dovuto succedere, ma che non rientravano nella storia iniziale. Lo psicologo osservò inoltre che le rievocazioni cambiavano, a volte in maniera sostanziale, ogni volta che la storia veniva raccontata.[4]
L’approccio ecologico
James J. Gibson (1904 -1979) ha inaugurato una nuova matrice di ricerca in campo percettivo, che ha denominato ottica ecologica, così da mettere meglio in luce l'importanza del ruolo svolto dall'ambiente sui processi percettivi legati alla visione e definire quale sia il rapporto che intercorre tra la percezione degli oggetti osservati e il loro sfondo, quello cioè all'interno del quale essi si stagliano[5].
Ulrich Neisser, padre fondatore ed esponente di spicco della psicologia cognitivista statunitense, influenzato dalle teorie sulla percezione visiva di J. J. Gibson[6], ha sostenuto l'importanza di uno studio della memoria calato in contesti di vita quotidiana, in contrapposizione agli esperimenti di laboratorio ed è stato fondatore di un approccio cosiddetto “ecologico” alla ricerca sulla memoria – espressione che si riferisce appunto alla necessità di collegare le prestazioni mnemoniche al contesto pratico di vita in cui esse sono impiegate, proprio quel contesto che la ricerca di laboratorio mira invece ad eliminare.[7]
Le classificazioni della memoria
I cognitivisti Atkinson e Shriffin hanno individuato tre tipi di memoria, catalogati sulla base della loro capacità di contenere ricordi per periodi di tempo più o meno lunghi e distinti in: registro sensoriale, sede della memoria iconica[8], ove si selezionano le informazioni portate dagli stimoli sensoriali ricevuti, le quali vengono poi trasferite nel magazzino a breve termine, detto anche memoria a breve termine e conosciuto con la sigla MBT; qui, le informazioni sono ricodificate in termini acustici, verbali e linguistici. Se l'informazione viene ripetuta può essere in effetti mantenuta per quanto tempo si vuole. Se non viene ripetuta o utilizzata, decade e viene definitivamente perduta. Infine una parte dell'informazione viene selezionata dal deposito a breve termine (o anche dal registro sensoriale) e trasferita nel deposito a lungo termine.[9]
La MBT viene servita da due sistemi indipendenti, la memoria primaria (MP), una sorta di archivio di capacità limitata in cui l'informazione verbale viene ritenuta nell'ordine esatto in cui si è verificato [...] e quella secondaria (MS), un archivio di capacità effettivamente illimitate. Comunque è piena di lacune e distorsioni. L'accessibilità all'informazione della MS – che può forse essere inesattamente identificata con la memoria episodica – è soggetta a interferenza specifica da parte delle tracce di eventi simili[10].
Studi recenti hanno messo in luce la natura del tutto convenzionale della distinzione tra i due sistemi di memoria a breve e a lungo termine (MLT), chiarendo il fatto che entrambi, in realtà, sono governate in modo simile dalle stesse variabili[11] e che la possibilità di attivare l'uno o l'altro di questi sistemi o di attingere all'uno o all'altro di questi archivi dipende sia dal modo di in cui si struttura il processo di organizzazione delle informazioni in ingresso, ovvero dal modo in cui queste vengono elaborate, che dalla natura dell'indizio che innesca il loro recupero.
L'attivazione della memoria a lungo termine sarebbe pertanto decisa, in primo luogo, dalla natura della codifica dell'informazione: una codifica di tipo elaborativo, ossia basata su una costruzione semantica dell'esperienza, permetterebbe l'attivazione della MLT, mentre una codifica superficiale attiverebbe la MBT; in secondo luogo, dal tipo di stimolo attivante o meglio, dalle proprietà dell'indizio di recupero: quanto più esso riesce a riprodurre le condizioni di codifica, tanto più è in grado di incidere sul recupero dell'informazione.
In altre parole, se la traccia mnestica impressa dall'esperienza nella nostra mente e l'indizio di recupero condividono componenti significative delle condizioni originali all'interno delle quali si è prodotta la codifica, come, ad esempio, potrebbero essere tutte quelle strettamente legate alle emozioni (positive o negative), allora il recupero del ricordo avrà maggiori probabilità di successo.[12]
Nel 1974, nell'ambito delle ricerche sulla memoria a breve termine, gli psicologi cognitivisti Alan Baddeley e Graham Hitch individuarono un ulteriore sistema specializzato, definito memoria di lavoro (MDL) o working memory, in grado di trattenere piccole quantità di informazioni per brevi periodi di tempo. Una parte di questo sottosistema, nota col nome di ciclo fonologico, è deputata a fornire assistenza alla MDL, immagazzinando per breve tempo una quantità extra di parole, cifre, ecc.[13]
Volendo rimanere sempre nell'ambito delle classificazioni, ma stavolta con riferimento alla MLT, intorno agli anni '70 del Novecento, Endel Tulving ha distinto tra memoria episodica, composta di fatti ed avvenimenti legati alla vita di ciascuno di noi, i quali godono di una loro collocazione spazio-temporale e memoria semantica, intesa come un sistema di conoscenze generali composto da schemi, modelli, proposizioni, script e informazioni sul mondo che però non hanno una prospettiva spazio-temporale.[14]
Questa ulteriore categorizzazione mette bene in luce il ruolo dell'esperienza soggettiva nel processo di recupero del passato, nel senso cioè che chiarisce quanto concetti astratti, giudizi, pregiudizi e aspettative possano rivelarsi condizionanti nella ricostruzione dei ricordi. Qualunque analisi della memoria episodica, ci informa Schacter, deve tener conto dell'esperienza soggettiva della persona che ricorda, che Tulving chiama il ricordante[15].
Verso la metà degli anni Ottanta, Daniel Schacter ha introdotto una ulteriore classificazione della memoria semantica, suddividendola tra memoria esplicita e memoria implicita. La prima è stata così definita in quanto suscettibile di essere valutata direttamente, esplicitamente, mediante test che chiedono al soggetto di riferire un'informazione memorizzata in precedenza; questa memoria è detta anche dichiarativa, poiché l’informazione recuperata può essere dichiarata, cioè espressa a parole ed è strettamente legata ad un recupero volontario, cosciente dell'esperienza.
La seconda è detta implicita in quanto accoglie tutti quei ricordi che agiscono sul comportamento o sul pensiero in maniera inconscia, senza cioè che la loro azione riesca a raggiungere il livello della coscienza; questo tipo di memoria attiva un recupero involontario dell'esperienza, scevro da sforzi di ricerca. Dato che risulta difficile riferire o dichiarare i contenuti di questa memoria, essa è detta perciò anche non dichiarativa.
Una parte importante della memoria implicita è rappresentata dalla memoria procedurale, quella memoria cioè che riguarda tutte le abilità procedurali “incorporate “, siano esse di natura motoria, o verbale, oppure ancora iconica e infine sensoriale.
La generalizzazione percettiva
Nell'ottica della psicologia della Gestalt, la memorizzazione è il risultato di un'organizzazione spontanea di tutti gli elementi presenti all'interno di un campo percettivo, i quali tenderebbero a ricomporsi in un insieme unitario, indipendente e diverso dalla semplice somma delle singole parti che lo compongono.
La memorizzazione sarebbe condizionata da determinati schemi appresi in precedenza che ci inducono a fissare meglio nella nostra mente il significato attribuito agli elementi percepiti, piuttosto che la loro forma reale (legge della generalizzazione percettiva), oppure a memorizzare con maggiore facilità figure simmetriche e complete; così, ad esempio, un cerchio dall'aspetto irregolare, se presentato per un brevissimo intervallo di tempo, tenderebbe ad essere ricordato come un cerchio perfetto, perché quest'ultima struttura è di per sé regolare (principio della pregnanza delle buone forme).[16]
[1] Daniel Schacter, Il fragile potere della memoria. Come la mente dimentica e ricorda, Oscar Mondadori ed., Milano, 2001, p. 19
[2] Fabio Dei, Antropologia e memoria. Prospettive di un nuovo rapporto con la storia. In: Novecento, 10, 2004 [2005]
[3] Jean Delay – Pierre Pichot, Compendio di psicologia, Giunti Barbera ed., Firenze, 1965, p. 200
[4] Daniel Schacter, Alla ricerca della memoria. Il cervello, la mente e il passato, Biblioteca Einaudi ed. Torino, 1996, pp. 98-99
[5] http://it.wikipedia.org/wiki/James_Gibson_(psicologo)
[6] Rom Harré – Roger Lamb – Luciano Mecacci, Psicologia. Dizionario enciclopedico (L-Z), ed. Laterza, Roma-Bari, 1992.
[7] Fabio Dei, op. cit.
[8] Gardner Lindzey-Calvin S. Hall-Richard F. Thompson, Psicologia, Zanichelli ed., Bologna, 1977, p. 153
[9] Ivi, p. 154
[10] Rom Harré – Roger Lamb – Luciano Mecacci, op. cit., p. 622
[11] Ibidem
[12]Daniel Schacter, Alla ricerca della memoria. Il cervello, la mente e il passato, op. cit.
[13]Ibidem
[14] Ibidem
[15] Ivi, p. 13
[16] Jean Delay – Pierre Pichot,op. cit.