PARTE III

Le teorie freudiane della memoria e dell'oblio

 

L'oblio in psicanalisi equivale ai meccanismi di difesa noti con i termini di censura e di rimozione. La censura costituisce uno sbarramento selettivo tra il sistema inconscio e quello preconscio[1] ai desideri inaccettabili; la rimozione consiste nel relegare a forza in una zona oscura della nostra psiche ricordi angosciosi o pensieri giudicati “scomodi” perché, ad esempio, socialmente inaccettabili. Ma i ricordi rimossi sono dimenticati solo in apparenza in quanto sono conservati nell'inconscio, dove mantengono, d'altra parte, un potenziale dinamico e possono, in determinate circostanze, essere rievocati.[2]

     La teoria della rimozione rappresenta il fulcro attorno al quale ruota il modello teorico-clinico di studio dell'attività mentale inconscia ideato da Sigmund Freud, che va sotto il nome di psicanalisi, e memoria e oblio costituiscono i pilastri dell'edificio psicanalitico.

     Secondo Freud, la memoria si struttura in sistemi mnestici, simili a degli archivi complessi, all'interno dei quali si depositerebbero tutti gli eventi della vita di un uomo, ordinati secondo diversi modi di classificazione: ordine cronologico, legame in catene associative, grado di accessibilità alla coscienza[3]; questi avvenimenti verrebbero poi tradotti in tracce mnestiche permanenti, ma suscettibili di essere riattivate solo una volta investite[4].

     La traccia mnestica è una copia dell'impressione originale prodotta dalla registrazione di un evento e corrisponde ad una particolare configurazione di facilitazioni, ossia un sistema di reti neuronali che offre una minore resistenza al passaggio degli impulsi nervosi e che pertanto rappresenta una sorta di corsia preferenziale che facilita la trasmissione degli stimoli. Questo funzionamento della memoria può essere paragonato alla “memoria” delle macchine cibernetiche basate sul principio delle opposizioni binarie, al pari dell'apparato neuronale che secondo Freud è costituito da biforcazioni successive […] La distinzione tra preconscio e inconscio è assimilata ad una distinzione tra due sistemi mnestici. Tutti i sistemi mnestici sono inconsci nel senso “descrittivo”, ma le tracce del sistema Inc [Inconscio] non sono in grado di giungere alla coscienza senza deformazioni, mentre i ricordi preconsci (la memoria nel senso corrente del termine) possono essere attualizzati in determinati comportamenti. [5]

     Secondo Freud tutti i ricordi infantili precoci, correlati ad intensi desideri sessuali o a impulsi sadici e aggressivi, vengono sottoposti ad un massiccio processo di rimozione forzata, noto col termine di “amnesia infantile”; inoltre, alcuni soggetti, impediti nell'atto della rimemorazione di eventi particolari della loro vita da una resistenza interna, agiscono sotto l'impulso di una “coazione a ripetere”, tendono cioè a mettere in atto un sostituto del ricordo. Questi soggetti in sostanza ripetono in maniera coatta ed inconsapevole, attraverso una sorta di agire permanente che presentifica  il passato, vecchie esperienze senza ricordarsi del prototipo e con invece l'impressione molto viva che si tratti di qualcosa che è pienamente motivato nella situazione attuale.[6]

     A queste due tipologie di ricordi, Freud aggiunge anche quelli di copertura, caratterizzati dal netto contrasto tra la loro particolare vividezza e l'apparente insignificanza del loro contenuto.  Fin nei primi trattamenti psicoanalitici e nella sua autoanalisi, Freud è rimasto colpito da un paradosso della memoria per quanto riguarda gli eventi dell'infanzia: alcuni fatti importanti non sono conservati (vedi: Amnesia infantile), mentre rimangono vivi ricordi apparentemente insignificanti. Fenomenologicamente, alcuni di questi ricordi si presentano con una chiarezza e una insistenza eccezionali che contrastano con la mancanza di interesse e l'innocenza del loro contenuto, e il soggetto si stupisce della loro sopravvivenza. Sono questi ricordi che Freud chiama “ricordi di copertura” in quanto ricoprono delle esperienze sessuali rimosse o dei fantasmi.[7]

     Da queste considerazioni si evince che Freud reputava essere un fatto ineludibile la distorsione di alcuni ricordi a livello della coscienza. Tuttavia, attraverso un lavoro appropriato di scavo analitico, è possibile ricostruire i fatti cui essi fanno riferimento, ma non nella loro verità storica; una riproduzione fedele del passato diviene invece possibile per i processi psichici primitivi originati dai fatti in questione.[8]  

Inoltre, egli aveva anche intuito il fatto che  la formazione dei nostri ricordi scaturisce dalla combinazione tra le due dimensioni della memoria, quella  individuale e quella collettiva, e che quindi la nostra rappresentazione del passato è fortemente condizionata dalla sedimentazione nel nostro inconscio di tracce mnestiche transgenerazionali,  Secondo lui, la vita di un individuo non è solo influenzata da ciò che ha vissuto precedentemente e rimosso nell'inconscio, essa è anche influenzata da contenuti innati, cioè da “elementi di provenienza filogenetica, un'eredità arcaica”, come dimostra la trasmissione della religione di Mosè[…] Questa eredità arcaica corrisponde a quello che egli chiama “il fattore costituzionale”, dell'individuo: esistono infatti delle tendenze comuni a ciascun essere umano, particolarmente manifeste nel corso dei primi anni di vita, e si possono ascrivere queste reazioni e le differenze individuali all'eredità arcaica. Una prova la vede nel carattere universale del simbolismo linguistico, che costituisce un sapere originario che trascende le differenze tra le lingue. Egli fornisce un'altra argomentazione a sostegno della sua tesi, il comportamento del bambino nei confronti dei genitori nel complesso di Edipo e il complesso di evirazione[9].

     Per concludere, tornando alla memoria, la moderna psicologia – confortata anche dalle più recenti scoperte nel campo delle neuroscienze - dà ormai per assodato il fatto che questa non debba più intendersi solo come un enorme serbatoio inattivo in cui vengono immagazzinati milioni di dati e in cui, all'occorrenza, si può rimestare nel tentativo illusorio di riuscire a recuperare quelli utili alla ricostruzione fedele di determinati avvenimenti passati; né come una funzione psico-fisica a sé stante, o come un fenomeno isolato della nostra mente; ma al contrario, essa va interpretata come il risultato di un complesso intreccio di processi individuali e sociali in grado di influire sugli straordinari meccanismi di funzionamento dei sistemi mnestici, incidendo sull'elaborazione delle informazioni in ingresso e sul recupero di quelle immagazzinate.

     Scrive Daniel Schacter:” non crediamo più che la memoria sia una facoltà a sé stante o unitaria della mente, come si è ritenuto per tanto tempo, ma composta da una varietà di processi e sistemi distinti e separabili. Ciascun sistema dipende da una particolare costellazione di reti cerebrali che coinvolgono diverse strutture neurali, ognuna delle quali svolge un ruolo ultraspecializzato all'interno del sistema[10].

     Infine, cosa altrettanto importante, il passato non è più un fatto statico, ma si dinamizza, si trasforma, si reinterpreta, si presentifica tutte le volte che lo si rievoca traducendo in pensieri e parole i ricordi che lo compongono. E' nel presente che si intenziona il passato, che lo si qualifica simbolicamente, che si selezionano alcuni elementi piuttosto che altri in virtù del fatto che sono funzionali alle urgenze del presente che possono fornire un terreno per la rivendicazione di particolari forme di identità o di particolari diritti. Il passato in altre parole è altamente instabile, si materializza attraverso le nostre pratiche interpretative ed essendo così instabile, è necessariamente terreno di confronto politico, di incontro e scontro di differenti attori sociali, tra differenti gruppi, che in molti casi lottano circa la classificazione del mondo. Tuttavia è fondamentale al fine di radicarci nel presente e di proiettarci nel futuro, costruire una certa visione del passato.[11]

     Centralità della funzione narrativa nel processo di recupero del passato e l'atto psichico del ricordare calato nel contesto del mondo vitale e delle pratiche comunicative, che è per definizione un contesto sociale e culturale […], è questa la cerniera, o meglio ancora il punto di profonda saldatura, fra lo studio psicologico della memoria e gli studi storici e sociali.[12]

 

 

 

 

 

 

 

[1]Jean Laplanche – Jean Bertrand Pontalis, Enciclopedia della psicoanalisi, Laterza ed., Bari, 1993, Vol. I, p. 75

[2] Jean Delay – Pierre Pichot, op. cit., p.204

[3] Jean Laplanche – Jean-Bertrand Pontalis, op. cit., Vol. II, p. 642

[4] Ivi, p. 641

[5] Ivi, p. 642, 643

[6] Ivi, p. 79, ma anche p. 16 (Agire o mettere in atto)

[7] Ivi, Vol. II, p. 544

[8]Werner Bohleber, Ricordare, trauma e memoria collettiva. La lotta per il ricordare in psicoanalisi in: G. Leo (a cura di), Identità mediterranee, psicoanalisi e luoghi della memoria, ed. Frenis Zero, Lecce, 2012

[9] Jean-Michel Quinodoz, Leggere Freud. Scoperta cronologica dell'opera di Freud, ed. Borla, Roma, 2005, p. 306

[10] Daniel Schacter, Alla ricerca della memoria. Il cervello, la mente e il passato, Biblioteca Einaudi ed., Torino, 1996, p.XV

[11]Ivo Quaranta, Corpo, memoria, violenza, https://docs.google.com/viewer?pid=bl&srcid=ADGEEShO-UTbOCejGF3xl5BhuKk.

[12] Fabio Dei, Antropologia e memoria. Prospettive di un nuovo rapporto con la storia