II. Memoria e riti nei contesti mafiosi

La memoria mimetica connota fortemente gli ambienti mafiosi - e si attiva anche in coloro che aspirano ad emulare i boss - ove, attraverso determinate gestualità delle mani, un'andatura particolare, un portamento del capo, una mimica del viso, si esprime un tipo di comunicazione non verbale, ben codificata all'interno di quelle culture e ampiamente nota non solo ai membri delle organizzazioni criminali, ma anche a chi vive e opera all'interno di contesti ad alta densità mafiosa.

     La figura del cominciamento[1] ritorna nel rituale che suggella l'accesso alla grande famiglia di Cosa Nostra, in quanto attraverso questo si sancisce la fine di una certa condizione di vita e l'inizio di un'altra e, in quanto, anche qui è possibile osservare una sorta di oblio del tempo passato: l'iniziato, infatti, dimenticando il passato, si proietta in un futuro governato in tutto e per tutto dai dettami della società mafiosa.

     Nell'universo mafioso, reale, ma anche in quello virtuale, rappresentato da sceneggiati, film e musica, attraverso un'eclatante inversione di ruoli all’interno della narrazione si produce una sospensione del tempo presente e l'ingresso in una sorta di dimensione atemporale: tutto si trasforma paradossalmente nel contrario di tutto. I criminali sono presentati come vittime o come eroi; gli uomini di legge come criminali; pentiti e collaboratori di giustizia sono spie, carogne o infami […] sembra di trovarsi coinvolti in un macabro gioco di ruolo, in cui non è più l'uomo a determinare il tempo e la storia, bensì un'entità metatemporale, la cui nascita si perde nei secoli, e che non ha altro scopo che quello di garantire l'eternità della sua stessa sopravvivenza.[2]

     Le organizzazioni criminali mafiose dispongono di complessi apparati rituali d'accesso, fortemente intrisi di riferimenti mistici, officiati in presenza di un iniziatore e strutturati su rigide formule di giuramento. L'ingresso formale in Cosa Nostra viene consacrato dal rito della combinazione, una cerimonia suggellata da un giuramento sacro pronunciato in presenza di un padrino e dei rappresentanti di alcune famiglie mafiose, e della punciuta di un dito della mano destra – solitamente il dito indice, quello che preme il grilletto per sparare – da cui viene fatta sgorgare una goccia di sangue, versata su un'immaginetta votiva che viene poi bruciata nel palmo della mano del nuovo associato, a cui, inoltre, sarebbe fatto carico di pronunciare una breve formula promissoria.[3]       Scopo del rito è quello di sancire il passaggio del neoassociato da una condizione esistenziale improntata alla mediocrità, verso un'altra che gli offra maggior prestigio e influenza sul suo ambiente, suggellarne, insomma, la rinascita a nuova vita e offrirgli una nuova identità. L'obiettivo del rituale è quello di scavare un solco profondo tra la vita precedente e la nuova condizione acquisita con l'ingresso nel sodalizio mafioso […]I richiami reiterati e manifesti a forme di religiosità – anche primitive – che accompagnano il prescelto nell'attraversamento della soglia […] strappano dall'anomia, contribuiscono a garantire il conferimento di una identità forte di uno status circondato da considerazione sociale, da rispetto.[4] Il rito d'ingresso viene completato poi dall'enunciazione di un giuramento di fede che ricalca la formula dei dieci comandamenti. Il primo comandamento recita testualmente: “non ci si può presentare da soli ad un altro amico nostro, se non è un terzo a farlo”. Il secondo: “non si guardano mogli di amici nostri”. Il terzo:”non si fanno comparati con gli sbirri”. Quarto comandamento:”non si frequentano né taverne e né circoli”. Quinto:”si ha il dovere in qualsiasi momento di essere disponibili a cosa nostra. Anche se c'è la moglie che sta per partorire”. Sesto:”si rispettano in maniera categorica gli appuntamenti”. Settimo:”si deve portare rispetto alla moglie”. Ottavo:”quando si è chiamati a sapere qualcosa si dovrà dire la verità”. Nono:”non ci si può appropriare di soldi che sono di altri e di altre famiglie”. Il decimo è il più articolato e formalizza alcune limitazioni alle affiliazioni, ponendo un veto all'ingresso nell'organizzazione su chi ha un parente stretto nelle varie forze dell'ordine chi ha tradimenti sentimentali in famiglia, chi ha un comportamento pessimo e che non tiene ai valori morali[5].

     Va evidenziata, infine, la presenza e l’importanza di una coloritura mitica che per certi aspetti l’interpretazione popolare attribuisce alla mafia e con cui essa stessa tende ad autorappresentarsi;  il mito, in tal caso, assolve, da una parte, al ruolo di un io-memoria, custode di ricordi fondanti, nonché del sistema normativo-simbolico proprio dell'organizzazione di riferimento della quale regolamenta il pensiero e le azioni, ed è responsabile, al contempo, della sua trasmissione; dall'altra, fornisce una chiave interpretativa della realtà che ha carattere assoluto, indiscutibile e che si pone come prototipo insostituibile di saperi. Il mito familiare non è solo un fattore di trasmissione di elementi conoscitivi della realtà, ma una vera e propria lente, uno strumento di lettura del reale; non fornisce solo conoscenze ma modelli di produzione delle conoscenze.[6]

    

 

 

 

 

[1] Secondo M. Augé L'oblio può presentarsi sotto forma di “figure” particolari, in cui si condensano, trasfigurandosi, le rappresentazioni interne delle tre dimensioni temporali di passato, presente e futuro, intese sia come durata individuale che come tempo sociale. Queste figure sono presenti nella maggior parte dei riti africani e incidono profondamente nel vissuto temporale soggettivo. Augé individua 3 figure particolari: quella del ritorno, che assume forma durante il rito della possessione e al termine del quale il posseduto dimentica ogni evento accaduto durante l'episodio di possessione, tutti i fatti verificatisi e i messaggi trasmessi per suo tramite da parte dell'entità che lo aveva “catturato”. Il suo obiettivo è quello di recuperare il passato perduto e abbandonare il presente. La figura della sospensione, che si mette in scena durante i giochi di inversione, si propone invece di scindere il presente sia dal passato che dal futuro, dimenticando quest’ultimo nella misura in cui esso s'identifica con il ritorno del passato. Chi gioca la parte dimentica ciò che era e che una volta “chiusi i giochi”, tornerà ancora ad essere. Entra in una sorta di tempo sospeso, di eterno presente. L’ultima figura è rappresentata dal cominciamento o ri-cominciamento e si incontra nei contesti rituali. Il suo obiettivo è quello di costruire il futuro dimenticando il passato. Essa assume forma durante i riti iniziatici. M. Augé, Le forme dell’oblio, Il Saggiatore, Milano, 2000, pp. 80,81

 

[2]Francesca Viscone, La globalizzazione delle cattive idee. Mafia, musica, mass media, Rubbettino ed., 2005, pp. 31,32

[3]Alessandra Dino, La mafia devota. Chiesa, religione, Cosa Nostra, ed. Laterza, Roma-Bari, 2010, pp. 44, 45

[4]Ibidem, p.54

[5]Ibidem, p. 66

[6]I. Fiore, La famiglia nel pensare mafioso, cit. in: M. Dondoni, G. Licari, E. Faccio, A. Pellicciotta, Identità e normatività gruppali nella cultura siciliana e nella sub-cultura di Cosa Nostra, in: Narrare i gruppi. Prospettive cliniche e sociali. Anno 1, Vol. 1. Febbraio 2006, p. 13