Bowlby che conosceva profondamente il concetto di rappresentazione come mondo interno fu influenzato dal libro del 1943 di Kenneth Craik The Nature of Explanation; Bowlby preferì utilizzare, piuttosto che metafore come “immagine” o “mappa”, la metafora di Craik di “modello operativo” che indica che la rappresentazione è un processo dinamico e che la struttura delle rappresentazioni è relazionale.

 Bowlby che conosceva profondamente il concetto di rappresentazione come mondo interno fu influenzato dal libro del 1943 di Kenneth CraikThe Nature of Explanation nel quale affermava:


Il pensiero modella la realtà o corre parallelamente ad essa (…) l'organismo porta all'interno della sua testa un 'modello su piccola scala' della realtà esterna e delle possibili azioni che lo mette in grado di reagire in modo più pieno, più sicuro e più competente alle situazioni di emergenza in cui si imbatte (cit. in Holmes, 1993, p. 83).

Come osserva Bretherton (1992), Bowlby preferì utilizzare, piuttosto che metafore come “immagine” o “mappa”, la metafora di Craik di “modello operativo” che indica che la rappresentazione è un processo dinamico e che la struttura delle rappresentazioni è relazionale.
Secondo Bowlby (1973), nel corso del suo sviluppo interagendo con l'ambiente, il bambino costruisce “dei modelli operativi del mondo e di sé stesso nel mondo, con l'aiuto dei quali percepisce gli eventi, prevede il futuro e costruisce i propri programmi. Nel modello operativo del mondo che ciascuno si costruisce, una caratteristica chiave è il concetto di chi siano le sue figure d'attaccamento, di dove le si possa trovare, e del modo in cui ci si può aspettare che reagiscano”(p. 260).
A partire dal secondo semestre di vita il bambino organizza e struttura la sua esperienza affettiva costruendo modelli operativi interni delle figure di attaccamento e del Sé; questi modelli si basano sulle esperienze di vita reale del bambino nell'interazione con i genitori ed il modello di sé del bambino dipende largamente da “quanto egli stesso sia accettabile o inaccettabile agli occhi delle sue figure di attaccamento”; dalla struttura di questi modelli dipende la previsione e la fiducia da parte del bambino su “quanto le sue figure d'attaccamento potranno essere accessibili e reattive se egli si rivolgerà a loro per aiuto (…) e la sua paura, più o meno rilevante, che esse non siano disponibili: di quando in quando, di frequente, oppure nella maggior parte dei casi” (p.260).


 

                        BIBLIOGRAFIA:

Holmes J. (1993) John Bowlby and Attachment Theory, Routledge, London (trad.it.: La teoria dell'attaccamento.John Bowlby e la sua scuola, Raffaello Cortina, milano, 1994);


Bretherton I. (1992) Modelli operativi interni e trasmissione intergenerazionale dei modelli di attaccamento, in M. Ammaniti, D.N. Stern (a cura di) Attaccamento e psicoanalisi, Laterza, Roma-Bari;

Bowlby J.(1973) Attachment and loss, vol. 2: Separation, Basic Book, New York, (trad.it.:Attaccamento e perdita, vol. 2: La separazione dalla madre, Bollati Boringhieri, Torino, 1975) 



                                     Massimo Guido
                      Medico Psichiatra Az. U.S.L. Roma F
                      Psicologo Clinico
                      Psicoanalista Società Psicoanalitica italiana


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