Lo stigma nasce dall’attribuire significati negativi alla condizione “eccesso di peso”, e dal ritenerne l’individuo responsabile; ed è un insieme di pensieri e atteggiamenti negativi nei confronti delle persone che sono in sovrappeso o obese, che si manifesta apertamente, esplicita, o resta inconsapevole, implicita, e porta a sentirle “pigre, sciatte, poco intelligenti e attraenti”

Lo stigma sul peso dei Pediatri Italiani e le ricadute sulle cure

Tanas Rita, Baggiani Francesco, Caggese Guido, Corsello Giovanni.

 

Affiliazioni

(*) Divisione di Pediatria e di Adolescentologia, Azienda Ospedaliero Universitaria, Ferrara

(** )Cooperativa Sociale Onlus La Stadera di Greve in Chianti, Firenze

(***)UO Anestesia e Rianimazione, Az Ospedaliero Universitaria di Ferrara

(****) Dipartimento di Scienze Motorie e del Benessere, Università degli Studi di Napoli Parthenope

(*****) Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile “G. D’Alessandro” Università degli Studi di Palermo

 

L'obesità è un grave problema di salute pubblica di difficile gestione per il quale si suggeriscono interventi sempre più precoci, non solo in età evolutiva ma fin dalla gravidanza e dai primi mesi di vita del bambino, con una rete allargata di servizi non solo sanitari (Dietz 2015). Uno degli ostacoli più rilevanti alla cura dell’obesità è la discriminazione verso il peso, ovvero l’anti-fat attitudes (AFA) (Soto 2014, Swiff 2013, Puhl 2015 Papadopoulos 2015).

Lo stigma nasce dall’attribuire significati negativi alla condizione “eccesso di peso”, e dal ritenerne l’individuo responsabile; ed è un insieme di pensieri e atteggiamenti negativi nei confronti delle persone che sono in sovrappeso o obese, che si manifesta apertamente, esplicita, o resta inconsapevole, implicita, e porta a sentirle “pigre, sciatte, poco intelligenti e attraenti” (Scwatz 2003). L’AFA è un tema molto attuale. La letteratura dice che è presente ovunque in ambito familiare, scolastico e sanitario con effetti negativi sulla salute. Studi sui comportamenti in famiglia dimostrano che inizia molto precocemente, non correla con il peso dei bambini ma con lo stigma dei genitori e li porta ad assumere atteggiamenti alimentari pericolosamente restrittivi verso scelte alimentari insane (Musher-Eizenman 2004-2007). Studi sui comportamenti sociali affermano che bambini di 6-7 anni con obesità sono spesso “trascurati” dai compagni, mentre quelli con obesità grave addirittura “respinti” (Harrist 2016).

Nel settore sanitario l’AFA è diffusa in ogni ambito specialistico, persino fra i professionisti che si occupano di Obesità (Schwartz 2003, Mulherin 2013, Foster 2003, vanGerven, Khandalava 2014, Setchell 2014) e fra gli studenti, che spesso non ne sono consapevoli (Miller 2013). Gli studi di prevalenza di posture comportamentali secondarie a coinvolgimenti psicologici utilizzano, come strumento iniziale, la somministrazione ad una popolazione campione di questionari che esplorano il vissuto con il sè, gli altri e l’ambiente. Al momento non ci sono studi che evidenzino la situazione in Italia, né in ambito pediatrico (Edmunds 2005). Un lavoro svolto in 4 paesi europei (Italia, Francia, Polonia e Ucraina) sottolinea la bassissima adesione alla compilazione di un breve questionario sulla terapia dell’obesità di medici o pediatri di famiglia (PdF), soprattutto in Italia (13%) pur essendo la frequenza del problema più elevata che negli altri tre paesi. Nonostante una costante e completa valutazione antropometrica ed una buona preparazione su alimentazione, attività motoria, problematiche psicologiche e comunicazione alle famiglie i pediatri italiani chiedono ancora formazione, non si fidano di poter ottenere risultati e aspettano decisioni dall’alto (Mazur 2013).

I PdF sono stati già sollecitati a monitorare il BMI del bambino e comunicarne la valutazione alla famiglia per avviare la gestione di un progetto che, in base al BMI riscontrato, sarà di prevenzione o di cura. Da questa prima tappa, infatti, dovrebbe nascere una selezione tra i bambini che il PdF seguirà da solo e quelli che, previa motivazione, avvierà alle cure di un pediatra specialista o meglio di un team interdisciplinare, dopo aver valutato la presenza di comorbilità o averlo trattato per 3-6 mesi senza esito.

Le cause dell’essere in sovrappeso o obesi sono complesse e ancora poco conosciute dai più. Vari autori (Gard 2005, Brown 2015) hanno sottolineato i limiti di una valutazione troppo semplicistica, legata prevalentemente ad uno sbilancio energetico, nella gestione del problema. Le ultime revisioni sulla terapia (Oude Luttikhuis 2009 Whitlock 2010, Ho 2012, Martin 2014) hanno dimostrato che i progetti per cambiare esercizio fisico e dieta hanno dato solo effetti minimi sul peso, anzi quella sui bambini in età prescolare arriva a definire l’intervento nutrizionale “equivoco” e a sconsigliare diete restrittive (Colquitt 2016). Molti altri fattori determinano l'adiposità (Llewellyn 2014, 2015). Anche l’influenza dell’eccesso ponderale e della sua riduzione sulla salute è poco chiara (Glogal 2016, Flegal 2013, Cheng 2015, Køster-Rasmussen 2016). La credenza che il peso sia principalmente sotto controllo individuale attraverso la dieta e l'esercizio fisico, che un alto indice di massa corporea significhi necessariamente cattivo comportamento e cattiva salute, sono di comune riscontro. Essi sono considerati da alcuni esperti come una conseguenza della stigmatizzazione sul peso favorita dai messaggi dei Sistemi Sanitari pubblici sui corretti stili di vita (Tailor 2009), e un fattore che perpetua e aggrava sia lo stigma che l’obesità stessa. In passato, infatti, alcuni ministeri hanno invitato i medici ad essere più incisivi nella comunicazione della diagnosi, auspicando che questo fosse terapeutico. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha puntato sulla creazione di consapevolezza nei genitori, ma oggi la letteratura è perplessa, mostra prove contrarie e raccomanda più prudenza. I figli di genitori consapevoli rivalutati dopo diversi anni sono più a rischio di veder peggiorare il loro stato ponderale (Robinson 2014, Major 2014). Gli adolescenti derisi sono quelli con maggiore sofferenza psicologica e che rispondono meno al trattamento dell’obesità (Greenleaf 2014, Yeatts 2016, Gow 2016).

Lo stigma sul peso è pervasivo, più forte e frequente di quello su razza e comportamenti sessuali (Latner 2008, Puhl 2011). Esso varia nei diversi stati in cui è stato studiato: maggiore in quelli a cultura liberale rispetto a quelli a cultura socialista (Crandall 2001). Inoltre, è sempre più diffuso, con livelli di discriminazione percepita che si sono raddoppiati negli ultimi dieci anni (Andreyeva T 2008). La derisione verso il peso,che ne consegue, viene alla lunga interiorizzata così che diventano deridenti le stesse persone che ne soffrono. A differenza di altri gruppi stigmatizzati, che si sostengono vicendevolmente, le persone in sovrappeso e obese fanno attribuzioni negative su di "sé", che aumentano l’insoddisfazione verso il proprio corpo, il rischio di depressione e di sviluppare disturbi alimentari. (Puhl Moss-Racusin 2007, Papadopoulos 2015, Carels 2013) Studi su coorti di adulti trovano un aumento della mortalità del 60% (Sutin 2015).

In sanità la stigmatizzazione sul peso ha dimostrato di predire: visite più brevi (Hebl 2001), messaggi più veloci e meno convincenti, maggiore distanza fisica fra medico e paziente. Rebecca Puhl ha riassunto i potenziali effetti nocivi dello stigma sul peso in psicologici: depressione, ansia, bassa autostima, ideazione suicidaria, insoddisfazione per il proprio corpo; e fisici: comportamenti alimentari insani (salto dei pasti, diete a ridottissimo contenuto calorico < 800 cal/die, pasti ipocalorici pronti) o estremi (digiuno, vomito, uso di farmaci), rifiuto dell’attività motoria (Puhl 2007).

Ad aggravare la situazione ancora oggi lo stigma sul peso è da molti pensato come utile a motivare i pazienti verso comportamenti favorenti la perdita di peso. In realtà esso influenza negativamente la motivazione all’esercizio, riduce o ritarda la richiesta di cure e l’intenzione di cambiare comportamenti, riduce la self-efficacy e, invece, correla positivamente negli anni successivi con aumento del peso (Robinson 2016, Hunger 2014, Gerards 2014), delle comorbilità relative (Tull 2005) e dei disturbi alimentari (Puhl 2009, 2013, 2015).

L’attenzione verso l’AFA professionale è in aumento: gli studi su studenti di medicina e professionisti di diversa anzianità sostengono che quella esplicita peggiora con la progressione della formazione e dell’attività clinica (Ip 2013, Jung 2015). Da ciò nasce il tentativo di formare professionisti capaci di prenderne coscienza, ridurla e difendere i pazienti da quella subita fin dai 3-4 anni, sia in ambito familiare (Musher-Eizenmann 2007) che scolastico (Harrist 2016). Purtroppo le revisioni sul come realizzare ciò non hanno mostrato ancora un percorso con evidenza di efficacia (Alberga 2016).

Considerando la prevalenza dello stigma sul peso nel settore sanitario e l’impegno chiesto ai pediatri nella gestione del peso, è opportuno conoscere i loro pensieri e atteggiamenti verso le persone in sovrappeso e, se negativi, sviluppare strategie per migliorarli per evitare che i pazienti ne vengano danneggiati (Phelan 2015).

Scopo di questo studio è suscitare attenzione sul tema provando che anche i pediatri dimostrano stigma esplicito su peso e grasso per proporre percorsi di cambiamento professionale fin dai corsi accademici.

Strumenti

L’AFAQ è un questionario Likert adattato da Crandall (1996) sulla derisione esplicita su peso e corpo costituito da 13-item divisi in 3 sottoscale: "avversione" verso le persone grasse; "paura” di diventare sovrappeso/obesi e "responsabilità" cioè convinzione che il sovrappeso sia il risultato di un controllo personale inadeguato o assente (Tabella 1). L’AFAQ è stato offerto, anonimo, per via telematica a 8960 Pediatri iscritti alla Società Italiana di Pediatria (SIP) (88% pediatri ospedalieri e 7,1% Pediatri di famiglia) da marzo a giugno 2016 nell’ambito del progetto “Attitudini all’organizzazione dell’ambulatorio pediatrico dedicato all’obesità”.

Le risposte sono espresse su una scala a 5 punti, da 1 (fortemente in disaccordo), che indica assenza di stigma fino a 5 (completamente d'accordo), che ne indica una fortissima. Tutte le risposte superiori ad 1 indicano presenza di stigma.

Risultati

Dai questionari è emerso che

  • l’11% dei pediatri iscritti hanno aderito alla compilazione ed in particolare l’82,6% dei PdF e solo il 5,6% dei PO, differenza altamente significativa (p< 0,001).
  • L’AFAQ ha totalizzato un punteggio medio elevato: 2,43 ± 1,4. Nelle 3 sottoscale "Avversione" 1,88 ± 1,2, "Paura del grasso" 2,96 ± 1.3 e "Responsabilità" 3,18 ± 1,3. Il punteggio registrato nelle sottoscale Paura e Responsabilità è decisamente più elevato di quello nella sottoscala Avversione.

Solo 5 pediatri (0,5%) tutti PdF hanno dato risposte coerenti con assenza di stigma in tutti gli items; solo 31(3%) hanno dato 12–11 /13 risposte non stigmatizzanti.

La tabella 1 evidenzia le domande che hanno registrato un punteggio molto elevato o molto basso.

Discussione

L’esame dei questionari suddivisi per pediatri di famiglia e ospedalieri ha evidenziato un maggior partecipazione dei PdF rispetto agli ospedalieri, che forse potrebbe dipendere dall’interesse specifico per altre patologie di questi ultimi o una minore sensibilità verso l’obesità rispetto ad altre patologie. I PdF hanno risposto davvero in maniera massiva al questionario su un tema che li interessa.

I risultati rivelano una elevato grado di derisione esplicita con notevoli differenze fra le 3 sotto scale. La derisione è prevalente nelle sottoscale paura e responsabilità (che causa vergogna nei pazienti), e lieve per avversione, quasi esclusivamente legata alla domanda 1 Mi fa piacere pensare di non avere amici in sovrappeso o obesi. che potrebbe significare solo il piacere di avere amici sani, che non corrono il rischio di tutte le comorbilità associate al peso e ben note ai sanitari.

Nel Nebraska una ricerca simile fatta sugli operatori delle cure primarie (medici, infermieri, dietisti, psicologi, farmacisti, studenti etc) ha dato punteggio ugualmente elevato e sbilanciato nelle 3 sottoscale a favore di paura e responsabilità. Purtroppo i risultati sono difficili da confrontare perché ottenuti con Questionario Likert 10 con punteggio da 0 a 9: "Avversione" 2,1±1,7, "Paura" 5,1±2,4, " Responsabilità " 4,9±2,1 (Khandalavala). Un altro studio su 265 fisioterapisti australiani, professionisti il cui lavoro ha un coinvolgimento elevato sul corpo e sul ruolo dell’impegno personale, ha trovato risultati simili: elevati e con punteggi superiori per paura del grasso e responsabilità rispetto ad avversione (Setchell 2014).

La lettura dei questionari ha evidenziato solo piccole differenze per tipo di attività dei pediatri. Dato che la derisione è universalmente condivisa, fortemente sostenuta da messaggi mediatici, ciò può aver globalizzato i pensieri e gli atteggiamenti di tutti, indipendentemente dalla professione o dalla latitudine come dimostrato dalla letteratura dal confronto fra professionisti sanitari e popolazione (Sabin 2012).

Lo stigma nei professionisti delle cure primarie cui sarebbe deputato il compito di comunicare la diagnosi di obesità e iniziare il percorso di cura, può costituire la causa del mancato trattamento precoce del problema, che dovrebbe essere basato sulla buona relazione terapeutica e sostegno alla self-efficacy della famiglia.

Anche se i pediatri italiani sono dotati dei calcolatori on-line per valutare peso e statura, BMI, BMI percentile o zscore, preparati sui temi del cambiamento dello stile di vita alimentare e motorio, della comunicazione e sui problemi psicologici (Mazur 2013) ci sono ancora ampi spazi per una formazione più adeguata. Intanto il loro sistema informatico non evidenzia quali curve stanno utilizzando ed il tipo di curva condiziona fortemente la valutazione dello stato ponderale dei bambini (Tanas 2010). Inoltre, non avendo consuetudine con strumenti quali il counseling di motivazione e la disponibilità adeguata di una rete di supporto, non credono di poter fare qualcosa per i loro pazienti (Baur 2011): spesso tollerano il Sovrappeso senza intervenire, per assumere atteggiamenti colpevolizzanti quando questo diviene Obesità, e infine, cercano sostegno in altre figure professionali quando si complica o diventa grave o la famiglia chiede aiuto. Solo pochi se ne prendono cura con mezzi e tempi adeguati e obiettivi realizzabili. Infatti gli obiettivi proposti da Linee-Guida e Consensus, eccessivi e spesso non raggiungibili né conservabili, causano grande frustrazione sia dei professionisti che delle famiglie. La sensazione di fallimento per contro aumenta lo stigma inconsapevole dei professionisti e insieme peggiorano tempi e qualità del loro counselling, comportamenti alimentari e motori delle famiglie nonché fiducia e richiesta di cure (Hebl 2001).

Limiti Il nostro studio ha diversi limiti. Il questionario AFAQ misura solo lo stigma esplicito; esso è stato scelto per la sua semplicità, in particolare per il ridotto numero di items. Il numero di possibili risposte è stato ridotto per tale ragione da 9 a 5. Nato in USA l’AFAQ non è validato in Italia e gli stessi autori hanno sottolineato che non si adatta completamente alla derisione professionale: per esempio quando un medico non ha piacere di ingrassare non vuol necessariamente dire che è stigmatizzante, ma solo che conosce bene le conseguenze dell’essere portatore di obesità (Ip 2013). Abbiamo limitato i dati personali richiesti ai professionisti per non creare bias di selezione, ostacolando l’adesione o alterando la veridicità delle risposte, per cui non possiamo valutare eventuali differenze relative al sesso e all’età professionale dei compilatori. È possibile inoltre che la compilazione su base volontaria, e non random, di un questionario crei di per sè bias di selezione e conseguente sovrastima o sottostima del fenomeno indagato. Si potrebbe ipotizzare che i medici più deridenti siano quelli che non vogliono occuparsi di obesità e quindi non hanno aderito allo studio.

L’uso della compilazione web del questionario può determinare ulteriori imprecisioni anche se vari autori confrontando la compilazione on line rispetto a quella tradizionale hanno concluso per una buona attendibilità di entrambe (Cronk 2003, Kraunt 2004).

Conclusioni

Lo stigma sul peso dei pediatri, e non solo la loro, è cruciale nel condizionare la richiesta, l’offerta e l’efficacia delle cure, il tempo e la convinzione (“self-efficacy”) con cui le famiglie si rivolgono ad un professionista certificato per avere un sostegno nel percorso di cambiamento. Esso, inoltre, condiziona l’impegno dei professionisti (Hebl 2001). È fondamentale prendersene cura e aiutarli a sviluppare un ambiente più neutrale e uno stile comunicativo rispettoso, non giudicante e collaborativo: empowering. L’Accademia Americana di Pediatria ha creato un’app gratuita per tutti gli apparecchi apple a tale scopo dal nome “Change the Talk”. https://play.google.com/store/apps/details?id=com.kognito.aap&hl=it

Lo stigma dimostrato da questo studio fra i PdF, i professionisti più vicini alle famiglie, associato ad uno scarso interesse verso il problema degli ospedalieri fa sì che famiglie e pediatri siano portati ad evitare il problema. Così le famiglie mettono a dieta i bambini senza una valutazione oggettiva del problema, spesso tardivamente ed in maniera completamente autonoma o con sostegno professionale inadeguato, attingendo a professionisti non formati all’età evolutiva, accettando solo tempi di consulenza inadeguati. Precedenti indagini sullo stigma, che ne hanno attribuito la causa all’attribuzione di responsabilità, hanno illuso di poterlo ridurre con percorsi di formazione che chiariscano meglio il ruolo della responsabilità del paziente (Phelan 2015) e della sua famiglia rispetto a fattori ambientali e genetici. I numerosi studi attuati con tale obiettivo, però, sono quasi senza esito, oltre che di qualità molto debole per numerosità, durata del follow-up (Ip 2013, Azevedo 2014). Oggi si propone di ridurlo sfruttando più strade: non solo la formazione sulle cause, ma anche lo sviluppo della consapevolezza ed esperienze di contatto professionale positivo.

In conclusione purtroppo non possiamo dire che in campo pediatrico la derisione professionale non abbia risparmiato i pediatri. Affrontare lo stigma nella formazione professionale fin dalle sua fasi iniziali accademiche, con percorsi dedicati e condivisi fra territorio e ospedale potrebbe portare a una offerta di cure di migliore qualità in pediatria.

Per tutti i pediatri offrire cure personalizzate ed efficaci senza lasciarsi condizionare da preconcetti, esperienze precedenti o auto-esperienze dovrebbe essere un obiettivo primario (Sharifi 2014,2015) per impedire all’AFA di condizionare e vanificare le cure dei bambini in eccesso ponderale (Tomiyama 2014).

 

Ringraziamenti

Si ringrazia per la splendida collaborazione della dott.ssa Elisa Consonni di SIP BIOMEDIA Srl Area Scientifica Milano

 

Tabella 1 Questionario AFAQ Adattato da Crandall 1994

Tipo di attività svolta:  □ Pediatra di Famiglia, □ Pediatra Ospedaliero. Domande con risposta meno stigmatizzante in Blu, a più stigmatizzante in Rosso

 

 

Affermazione

1.Non sono per nulla d’accordo

2.Non sono molto d’accordo

3.Non saprei

4.Sono abbastanza d’accordo

5.Sono assolutamente d’accordo

1.Mi fa piacere pensare che non ho amici in sovrappeso o obesi.

 

 

 

 

 

2.Sono portato a pensare che le persone in sovrappeso sono un po‘ inaffidabili

 

 

 

 

 

3.Anche se alcune persone in sovrappeso sono intelligenti, sono portato a pensare che spesso non lo siano

 

 

 

 

 

4.Faccio fatica a prendere sul serio le persone in sovrappeso

 

 

 

 

 

5.Le persone obese mi fanno sentire un po'a disagio

 

 

 

 

 

6.Se fossi un datore di lavoro, eviterei di assumere una persona in sovrappeso

 

 

 

 

 

7.Non mi piace la gente in sovrappeso o obesa

 

 

 

 

 

8.Sono disgustato di me stesso se prendo peso.

 

 

 

 

 

9.Una delle cose peggiori che potrebbero accadermi sarebbe prendere 10 kg

 

 

 

 

 

10.Ho paura di diventare grasso

 

 

 

 

 

11.Le persone che pesano troppo potrebbero perdere almeno un po’del loro peso con un po‘ di esercizio

 

 

 

 

 

12.Le persone in sovrappeso hanno poca forza di volontà

 

 

 

 

 

13.È colpa delle persone se sono in sovrappeso

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

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