A partire dalla comunità scientifica anglosassone, la terapia cognitivo-comportamentale è divenuta via via il trattamento standard della bulimia nervosa e del disturbo d’alimentazione incontrollata nell’obesità e costituisce in larga misura la base teorica del trattamento dell’anoressia nervosa.

A partire dalla comunità scientifica anglosassone, la terapia cognitivo-comportamentale è divenuta via via il trattamento standard della bulimia nervosa e del disturbo d’alimentazione incontrollata nell’obesità e costituisce in larga misura la base teorica del trattamento dell’anoressia nervosa. Solitamente la terapia è suddivisa in tre fasi. La prima fase si incentra sull’aspetto comportamentale e‚ quindi‚ sulla normalizzazione delle abitudini alimentari e sull’eliminazione delle abbuffate e delle condotte di compensazione. Nella seconda fase il focus è incentrato sugli aspetti cognitivi nei termini dell’identificazione e della messa in discussione delle convinzioni che mantengono il D.C.A.. La terza fase è volta soprattutto alla prevenzione delle ricadute. Solitamente la terapia viene svolta con l'ausilio di un manuale (workbook) dove il paziente, oltre alle informazioni di tipo psicoeducazionale, trova lo spazio per i compiti da svolgere ogni settimana (es. schede per l'Automonitoraggio, schede per il Problem Solving, schede per l'Analisi dei Pensieri Disfunzionali, ecc.).
Fase I

Anche in questo modello terapeutico è indispensabile fin dall'inizio costruire con il paziente un’alleanza terapeutica positiva. Questo processo può essere stimolato favorendo un clima di empatia e totale accettazione dei vissuti della persona‚ pur mantenendo un atteggiamento fermo sul raggiungimento degli obiettivi dell’intervento terapeutico. Per aumentare la motivazione del paziente nei confronti della terapia e far emergere gli aspetti distonici dei sintomi‚ può essere utile fare una bilancia decisionale che abbia lo scopo di esplicitare i “costi” e i “benefici” a breve e a lungo termine del mantenimento del D.C.A. Inoltre‚ è fondamentale sottolineare l’importanza di una partecipazione attiva del paziente nel proprio processo di guarigione‚ facendo in modo che egli diventi “terapeuta di se stesso” e apprenda le abilità necessarie per continuare a fare progressi anche una volta terminata la terapia. Tra gli strumenti indispensabili per la terapia cognitivo/comportamentaleci sono le procedure di automonitoraggio‚ che hanno lo scopo di registrare l’assunzione del cibo‚ il luogo in cui esso viene consumato‚ la presenza o meno di compulsività alimentare‚ l’utilizzo di condotte compensatorie‚ i pensieri e le sensazioni. Grazie all’uso di questo strumento il paziente ha la possibilità di cogliere lo stretto legame tra dieta estrema ed episodi bulimici‚ o‚ nel caso di paziente anoressiche restrittive‚ ad avere informazioni essenziali sul tipico stile alimentare rigido ed evitante. Lo scopo è iniziare ad individuare le distorsioni cognitive per costruire le basi per le sedute successive incentrate sulla ristrutturazione cognitiva. La regolarizzazione dell’assunzione di cibo è un altro aspetto fondamentale della terapia cognitivo/comportamentale. L’alimentazione viene suddivisa in tre pasti e due spuntini che il paziente dovrà assumere come se si trattasse di una medicina‚ prescindendo dai segnali fisiologici di fame e sazietà‚ segnali non più affidabili in quanto alterati dal disturbo. Questo schema‚ che dovrà essere attuato per svariati mesi finché i segnali fisiologici non si saranno di nuovo ristabiliti‚ permetterà di ridurre in maniera significativa la probabilità di incorrere in eccessi alimentari. In questa fase il terapeuta introdurrà svariati argomenti psicoeducazionali che hanno lo scopo di rendere edotto il paziente sui sintomi da digiuno‚ sulla pericolosità delle condotte di compensazione (vomito‚ lassativi‚ diuretici‚ esercizio fisico compulsivo) e sul legame tra dieta restrittiva ed eccessi alimentari. Ai pazienti che hanno episodi di alimentazione incontrollata vengono insegnatetecniche di controllo degli stimoli. Queste tecniche comprendono l’identificazione degli stimoli ambientali associati all’alimentazione in eccesso: lavorando sul microambiente dell’individuo‚ il paziente può avere maggiori possibilità di controllare con successo l’alimentazione. Esistono svariate strategie per aiutare il paziente ad interrompere il circolo vizioso abbuffata/vomito autoindotto. Una tecnica consiste nel ritardare l’abbuffata e/o il vomito per un certo periodo di tempo(ad es. mezz’ora). Tutto ciò è utile in quantol’impulso a mettere in atto questi comportamenti spesso diminuisce sensibilmente con il tempo. Lo scopo delle strategie di ritardo è anche quello di far percepire alla persona un maggior grado di controllo sulle situazioni critiche che prima viveva come ineluttabili. Inoltre è importante aiutare il paziente a sviluppare delle attività alternative che lo aiutino a ritardare e‚ se è possibile‚ ad evitare del tutto le abbuffate. Tali attività dovrebbero essere messe in atto quando ci si trova di fronte a situazioni ad alto rischio e si sente l’impulso di mangiare in eccesso. Lo scopo dell’applicazione di queste tecniche è aiutare il paziente ad individuare le avvisaglie delle abbuffate e far in modo che diventi sempre più abile a gestire e a prevenire le situazioni difficili. Nel caso di pazienti affette da anoressia‚ la tipologia delle abbuffate difficilmente coincide con i criteri utilizzati dal DSM IV. L’obiettivo‚ quindi‚ non sarà tanto quello di modificare il comportamento alimentare specifico che il paziente descrive come abbuffata‚ ma piuttosto di identificare e mettere in discussione le distorsioni che rendono un pasto normale (o scarso) un eccesso alimentare. Ovviamente saranno necessari anche interventi nutrizionali comportamentali che enfatizzino l’aumento dell’introito calorico‚ basandosi sul razionale che se vengono consumate sufficienti quantità di cibo durante la giornata il rischio di abbuffarsi sarà notevolmente ridotto. Esistono circostanze in cui i pazienti non sono in grado di utilizzare le tecniche apprese per sfidare le assunzioni sottostanti al comportamento problematico; spesso‚ infatti‚ si sentono sopraffatti dall’ansia dopo aver mangiato. Il terapeuta può incoraggiarli a pianificare questi momenti sviluppando strategie per distrarre l’attenzione da pensieri ansiogeni o dolorosi. Si tratta di una tecnica finalizzata a cambiare il canale cognitivo e non ad identificare e modificare i pensieri disfunzionali (Garner e Bemis‚ 1985). Il paziente va aiutato a stilare una lista di “frasi di coping” che dovrà rileggere nelle situazioni problematiche‚ come quando dopo un pasto si sente sopraffatto dall’impulso ad abbuffarsi o vomitare.
                                   Dott.ssa Linda Degli Espositi