Il disturbo bipolare, è una patologia mentale grave, cronica e ricorrente. Le conseguenze della malattia e delle continue ricadute, per l’individuo e per i suoi familiari, unite ad un alto rischio di mortalità per suicidio, rendono necessario un approccio che vada oltre la farmacologia, che continua a rimanere un elemento fondamentale della terapia, ma che si orienti sempre di più verso la prevenzione e il rafforzamento delle competenze del paziente.
Il disturbo bipolare, una volta conosciuto come psicosi maniaco-depressiva, è una patologia mentale grave, cronica e ricorrente; ha un’età media di insorgenza intorno ai 21 anni e una incidenza che secondo alcuni autori si avvicina al 4% della popolazione adulta (Hirschfeld, 2003), mentre altri sono arrivati a stimare fino al 5,5% della popolazione generale al disopra dei 35 anni di età (Angst, 2003).
I disturbi bipolari rappresentano la sesta causa di inabilità lavorativa nel mondo (Lopez, 1998) e, a causa della loro gravità e cronicità, comportano una considerevole spesa economica e sociale, tanto diretta – ricoveri ospedalieri, utilizzo di risorse mediche (Mapelli, 2005) – quanto indiretta – costanti cali lavorativi e perdita di produttività (Goetzel, 2003).
Il disturbo bipolare è considerata una malattia con una rilevante componente ereditaria (Smoller, 2003), caratterizzata da una alterazione dei meccanismi che regolano il tono dell’umore. Il decorso ha un andamento ciclico, con una alternanza di episodi maniacali o ipo-maniacali e episodi depressivi.
La fase maniacale è una alterazione del tono dell’umore predominata da euforia, espansività ma anche irritabilità, con sintomi associati che includono una eccessiva autostima o grandiosità, irrequietezza psicomotoria e diminuzione delle ore di sonno. Nella fase ipo-maniacale si presenta lo stesso tipo di alterazione dell’umore ma l’intensità dei sintomi non raggiunge un livello di gravità tale da provocare un marcato deterioramento sociale e lavorativo o da richiedere l’ospedalizzazione.
Nella fase depressiva del disturbo bipolare vi può essere tristezza e perdita di fiducia o speranza, ma anche soltanto una mancanza di interesse o piacere nei confronti di diverse attività, con apatia, inibizione psicomotoria e ipersonnia.
Alcune persone, circa il 40% di coloro che soffrono di disturbo bipolare, non sperimentano periodi alternati di depressione o mania, ma vivono entrambe le condizioni contemporaneamente, in ciò che viene definito stato “misto”.
Le fasi possono alternarsi con una frequenza differente durante l’anno solare e possono essere influenzate dal cambio di stagione. Fattori che aggravano il decorso e la prognosi del disturbo bipolare sono l’associazione con l’abuso di sostanze e un assunzione irregolare della terapia (Hoblyn, 2009).
Cura e psicoeducazione
Nonostante il progresso in campo farmaceutico, i disturbi bipolari continuano a comportare una fonte importante di morbilità e mortalità, con una grave compromissione della qualità della vita dei pazienti (e spesso anche dei loro familiari).
Le conseguenze della malattia e delle continue ricadute, per l’individuo e per i suoi familiari, unite ad un alto rischio di mortalità per suicidio (Tsai, 2002), rendono necessario un approccio che vada oltre la farmacologia, che continua a rimanere un elemento fondamentale della terapia, ma che si orienti sempre di più verso la prevenzione.
La psicoeducazione è uno strumento di cura del disturbo bipolare, rivolto non alla eliminazione di un deficit ma alla prevenzione e al rafforzamento delle competenze del paziente o “Empowerment” (Colom, 2011).
Le prime ricerche sulla psicoeducazione come strumento terapeutico nel disturbo bipolare, che risalgono a circa 30 anni fa, tendevano a mettere in luce il risultato del miglioramento dell’aderenza al trattamento farmacologico da parte dei pazienti, mentre oggi i vantaggi sono esplorati e misurati in un’ottica molto più allargata (Nathan, 2007).
L’impiego di un trattamento psicoeducativo implica diversi vantaggi per la terapia dei pazienti bipolari, quali il miglioramento della qualità assistenziale percepita dai pazienti, che si traduce in un’alleanza terapeutica, in una migliore aderenza farmacologica e in un aumento delle capacità del paziente nella ricerca di aiuto in situazioni complesse come, ad esempio, l’ideazione suicidaria o, in altri casi, la suscettibilità e autoreferenzialità proprie dell’inizio di alcuni episodi maniacali.
La psioceducazione evita il modello di una relazione tra un medico “sanatore” e un paziente passivo, per potenziare, invece, un’adeguata alleanza terapeutica incentrata sulla collaborazione, sull’informazione e sulla fiducia.  La non comprensione della propria malattia, infatti, tende ad aggravare il decorso dei disturbi psichiatrici, dal momento che, al malessere causato dagli stessi sintomi della malattia, si aggiunge il malessere derivante dal non sentirsi capito dagli altri, e, ancora peggio, dal non comprendere che cosa stia accadendo, né cosa bisogna aspettarsi.  La psicoeducazione cura la non comprensione del paziente rispetto a quello che gli sta succedendo, in modo da non sentirsi più “colpevole” per diventare “responsabile”, e tale passo costituisce l’inizio dell’accettazione della necessità di assumere una terapia.

 

Dr. Giovanni La Veglia
Psicologo Clinico
© 2012

 


BIBLIOGRAFIA

 

Angst J., Gamma A., Benazzi F., Ajdacic V., Eich D., Rossler W. (2003).  Towards a re-definition of subthreshold bipolarity: epidemiology and proposed criteria for bipolar II, minor bipolar disorders and hypomania.  Journal of Affective Disorders, 73, p. 133-146

Colom (2011).  Keeping therapies simple: psychoeducation in the prevention of relapse in affective disorders. Brithsh Journal of Psychiatry, May 2011 198:338-340.

R.Z., Hawkins K., Ozminkowski R.J., Wang S. (2003).  The health and productivity cost burden of the “top 10” physical and mental health conditions affecting six large U.S. employers in 1999.  Journal of Occupational Environmental Medicine: 45, 5-14.

Hoblyn J., Balt S., Woodard S., Brooks J. (2009). Substance use disorders as risk factors for psychiatric hospitalization in bipolar disorder. Psychiatric Services 60:50-55.

Hirschfeld R.M., et al. (2003).  Screening for bipolar disorder in the community.  The Journal ofClinical Psychiatry: 64, 53-59.

Lòpez, A.D. e Murray, C.J. (1998). The Global Burden of Disease.  Nature Medicine 4, 1241-1243.

Mapelli V., Guidi L., Ravasio R. (2005).  I costi di trattamento del disturbo bipolare.  PharmacoEconomics – Italian Research Articles 7(2): 101-118.

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