Cesare AlbasiAttaccamenti traumatici. I Modelli Operativi Interni Dissociati(Utet, Torino 2006) Che abbia un cuore capace di resistere,e l’intelletto vigile e lungimirante.(W. Szymborska)


INTRODUZIONE

Questo libro rappresenta il tentativo di scrivere i risultati di una ricerca teorica su alcuni aspetti della psicopatologia e della psicoterapia psicoanalitica relazionale che riguardano i processi dissociativi. La letteratura presa in esame appartiente, prevalentemente, alla tradizione psicoanalitica relazionale statunitense, all’Infant Research e alla teoria dell’attaccamento.
Il trauma e la dissociazione sono tematiche cliniche attorno alle quali si è costituito attualmente un fervido dibattito in molti ambiti delle discipline psicologiche, psichiatriche, neuro-psichiatriche, neuroscientifiche ; la realtà clinica che riguarda questi temi è ampia e diversificata e il significato stesso dei stessi termini (“trauma” e “dissociazione”) oscilla, non risultando sempre univoco. Per questa ragione, a partire da riflessioni ed esperienze cliniche diversificate con bambini, adolescenti e adulti (Albasi, Brockmeier, 1997; Capello, Albasi, 1995; Clerici, Ferrari, Albasi, 2004a; Albasi et all., 2001, 2003, 2004a, 2004b, Clerici et all., 2002, 2003, 2004, 2005; Albasi, Boschiroli, 2003a, 2003b; Albasi, Sechi, 2002, 2003), ci è parsa necessaria una ricerca teorica che conducesse alla formulazione di un particolare punto di vista su questi temi e di un concetto utilizzabile nella valutazione della psicopatologia e nella presa in carico psicoterapeutica di molti pazienti: quello di Modelli Operativi Interni Dissociati (MOID) (Albasi, 2003b, 2004l, 2005a, 2005b) . In questo libro ci prefiggiamo di presentare quelli che hanno rappresentato i riferimenti teorici per l’elaborazione di questo concetto (in un altro volume verranno esplorate più compiutamente le applicazioni cliniche): innanzitutto la teoria dell’attaccamento e l’Infant Research.
Il concetto di Modello Operativo Interno (MOI) è stato proposto da Bowlby (1973) come un’alternativa ai concetti psicoanalitici relativi alle strutture mentali che si formano sulla base delle relazioni interpersonali. I MOI sono memorie delle relazioni che acquisiscono un valore strutturale per la mente. Infatti, in una prospettiva relazionale, la mente sviluppa le sue strutture e i suoi processi funzionali all’interno delle relazioni di attaccamento. Le esperienze delle relazioni di attaccamento, dunque, non vengono semplicemente ricordate ma offrono anche le regole per organizzare i ricordi e i contenuti dell’esperienza. La mente, a differenza di quanto suggeriva la prospettiva pulsionale della psicoanalisi freudiana, costruisce le regole del suo funzionamento durante lo sviluppo, nel rapporto e nel contatto con le altre persone.
In questo libro consideriamo i MOI come strutture molteplici, organizzate su più livelli di funzionamento, che concorrono alla costruzione del significato dell’esperienza soggettiva.
Un primo livello del loro funzionamento è quello procedurale, è un livello di conoscenza implicito e quindi non ha, costitutivamente, le caratteristiche per essere rappresentato in modo diretto tramite il linguaggio verbale; riguarda le modalità per entrare in contatto con le figure di attaccamento e media, innanzitutto, la regolazione degli stati interni.
Uno degli obiettivi primari della relazione di attaccamento (che nel periodo neonatale dà vita ad un sistema diadico madre-bambino) è la regolazione degli stati del bambino (definibili come “configurazione unica e specifica di una serie di variabili psicologiche, fisiologiche e comportamentali”, Putnam, 2001, p. 173), tra i quali assumono evolutivamente sempre maggiore importanza gli stati affettivi.
Il livello procedurale e la regolazione degli affetti assumono una forma caratteristica nel corso dello sviluppo grazie a quello che Sander (si veda l’appendice A1) chiama processo di riconoscimento, diventando guide per la costruzione delle relazioni di attaccamento successive, nel corso di tutta l’esistenza, con un ruolo determinante per il funzionamento mentale e per la salute dell’individuo.
Le relazioni di attaccamento possono favorire lo sviluppo di processi adeguati alla regolazione degli stati affettivi del bambino oppure, come accade nell’attaccamento traumatico, disconoscere le sue necessità di regolazione. Nel secondo caso, le esperienze evolutive costituiranno strutture che custodiscono la memoria di questi fallimenti, sia sul piano dei contenuti che dei processi. Chiamiamo queste strutture MOID.
La qualifica di “dissociati” applicata ai MOI che risultano dall’esperienza di crescita in un contesto che disconosce le necessità, i bisogni, la specificità personali, è mutuata dalla tradizione psicoanalitica relazionale che, seppur è venuta definendosi in tal senso soltanto dalla fine degli anni Ottanta (si vedano Mitchell, 1988, 1991a; Aron, 1996; Mitchell, Aron, 1999), affonda le sue radici nel pensiero di Ferenczi, di Sullivan, di Fairbairn. Il concetto di dissociazione, in questa linea di pensiero clinico, è stato articolato insieme a quello di trauma, ciò ha permesso l’elaborazione di un’ampia prospettiva sulla psicopatologia. La dissociazione non è concepita come un sintomo (come nei manuali nosografici) ma come un processo che struttura il funzionamento mentale.
La dissociazione crea discontinuità (una sorta di “buchi”) nell’esperienza soggettiva. La fenomenologia clinica dei MOID riguarda il paradosso di un’esperienza che non possiede un significato soggettivo pur essendo di importanza cruciale per l’individuo. I MOID sottraggono al soggetto la sua esperienza, sono “ladri di soggettività” (seducono con la loro promessa di una sicurezza posticcia in cambio di povertà nella formulazione di significati).
Sempre più frequentemente, dagli anni Settanta in poi, i pazienti che chiedono aiuto psicoterapeutico lamentano una mancanza di significato nelle relazioni intime della loro esistenza (come, appunto, un’esperienza di “qualcosa che manca”). Al di là dei differenti quadri sindromici che possono presentare, soggettivamente i pazienti riferiscono: un deficit di vitalità in ambiti importanti della loro esistenza, una sorta di sottile senso di agonia e disperazione; un senso di non esserci come persone in grado di vivere da protagonisti le loro relazioni, di perdita di consistenza, di vuoto; un’incapacità di formulare chiaramente una richiesta di aiuto per qualcosa di indefinito e di difficilmente formulabile ma che sta condizionando la loro vita portandoli a costruire relazioni nelle quali non riconoscono se stessi; auto-distruttività o di distruttività nei confronti dei rapporti intimi; altri pazienti lamentano una deformazione dei propri desideri, un annebbiamento della capacità di riflettere su di sé, un annullamento dello spazio affettivo delle relazioni, un’impossibilità di vivere le relazioni come luogo per esprimere e realizzare le proprie potenzialità; nei casi più gravi: un senso interno di morte, di non vitalità in alcune dimensioni di sé, di non movimento dei pensieri, di non possibilità di regolazione degli affetti, di estraneità dalle proprie esperienze e di assenza di significato.
I pazienti, pur chiedendo di essere aiutati per qualcosa che li fa soffrire (sintomi o relazioni disturbate), sono legati inconsciamente, attaccati, alle loro situazioni patologiche, non potendo rinunciarvi in quanto esse continuano a rappresentare, paradossalmente, la possibilità inconscia di realizzare qualcosa di importanza vitale per loro.
Siamo ora in grado di comprendere che tipo di segno, cicatrice, traccia mnestica, lascia il trauma: i MOID; non quindi una metafora generica di ferita o di cicatrice, ma un concetto che offre la possibilità di orientare lo sguardo e l’ascolto clinico ad un formato particolare di questi segni e tracce psichiche, un formato che si dispiega a livello procedurale, implicito: la memoria procedurale di una configurazione interattiva che fallisce nel regolare gli stati affettivi. Ad essere memorizzata e interiorizzata (in modo grezzo, non elaborato) è una configurazione relazionale, non semplicemente uno stato, un affetto ecc.). Questa configurazione di attaccamento è differente da quelle tradizionalmente associate all’attaccamento insicuro (evitante e ansiosa-ambivalente-preoccupata), nelle quali il soggetto è in grado di organizzare forme difensive di regolazione degli affetti e delle distanze interpersonali, e può essere in grado di costruire una narrazione che ne rispecchi i vissuti (e anche di sviluppare una riflessione intenzionale su di essi), e da quelle osservate nella disorganizzazione dell’attaccamento, nelle quali la molteplicità dei MOI si sussegue in modo incoerente.
Il concetto di attaccamento traumatico ha un’estrazione clinica e si riferisce a quelle situazioni in cui una persona è cresciuta legandosi a figure di attaccamento che gli chiedevano, implicitamente, di rinunciare alla propria soggettività, alla propria sensibilità, al proprio punto di vista sull’esperienza. In questi contesti evolutivi si sviluppano i MOID.
L’esperienza interiorizzata nei MOID non favorisce la mentalizzazione (o la riflessione) ma soltanto la sua messa in atto nelle relazioni di attaccamento successive (una sorta di drammatizzazione di ruoli affettivi che viene chiamata enactment).
Per loro natura, le memorie dei MOID non fanno parte di quell’insieme di rappresentazioni che un individuo può utilizzare, più o meno consapevolmente, per comprendere le sue relazioni e orientarsi all’interno del loro contesto; non si riattivano nel discorso, come ricordi simbolici, non sono a sua disposizione come fonte di significati per comprendere ciò che gli succede nei suoi rapporti. Anzi, ad essi è impedita anticipatoriamente la possibilità di essere sperimentati soggettivamente in qualsiasi forma (quindi è inibita l’eventuale connessione tra il livello implicito e quello simbolico che permetterebbe una elaborazione degli affetti e del significato attuale delle esperienze in essi memorizzati) lasciando un senso soggettivo di confusione, insensatezza, vuoto, mancanza, turbamento ecc. I MOID operano implicitamente nella creazione dell’universo di relazioni intime attraverso i gesti interpersonali e le richieste inconsce specifiche di complementarietà di ruoli interattivi.
I MOID implicano e chiamano in causa, con l’ambitendenza che connota il paradosso , gli altri “significativi”, per rimettere in scena (to enact) le configurazioni relazionali traumatiche nella ricerca di soluzioni alternative rispetto a quelle originarie.
Questo è un paradosso: nel loro aspetto di memorie procedurali, i modelli operativi interni sono qualcosa che le persone fanno insieme agli altri, sono (metaforicamente) sia dentro le persone sia tra le persone. I MOID possono contenere una doppia motivazione paradossale: una forma difensiva di evitamento delle esperienze intime che potrebbero riattivarli e, contemporaneamente, una spinta verso quelle stesse esperienze interpersonali, proprio perché esse costituiscono la possibilità di “ricordare” (in questo senso “concreto” e non simbolico) e di attivare una loro elaborazione. I MOID sono la memoria primitiva dell’attesa di un riconoscimento intersoggettivo, come un’aspettativa interrotta di un incontro affettivamente significativo.
Avremo modo di considerare, nelle prime parti del volume, l’opportunità offerta dal coniugare il concetto di dissociazione, così formulato, con quelli di MOI e di livello procedurale del funzionamento mentale. Nella seconda parte del libro tracceremo una sintetica panoramica di alcuni contributi psicoanalitici sulla dissociazione (non intendiamo offrire esposizioni esaurienti, sistematiche o critiche, ma piuttosto dei rimandi ad autori che costituiscono la base per comprendere il concetto di MOID).
Nell’ultima parte del libro affronteremo, invece, le implicazioni del concetto di MOID sul piano della psicoterapia.
La psicoterapia è un trattamento con strumenti psichici (parole, relazione, gesti con significato affettivo): non della psiche ma attraverso la psiche. La psicoterapia è essenzialmente una pratica, una prassi, un modo di fare qualcosa insieme ai pazienti, e non può prescindere da modelli teorici sulla mente e sul processo terapeutico che orientano il terapeuta in questa prassi, che egli porta con sé come presupposti epistemici e indicazioni implicite per l’atteggiamento clinico da tenere. Come sappiamo dalle metafore spesso utilizzate per comprenderla, la psicoterapia psicoanalitica assomiglia di più ad un rapporto genitore-bambino o ad un rapporto sentimentale che ad un rapporto burocratico: potrà sembrare “scandaloso” ma per funzionare deve proprio essere così. Un paradosso che regge il processo psicoterapeutico è la tensione dialettica (sottostante il rapporto terapeuta-paziente) tra rituale e spontaneità, tra la dimensione strettamente professionale e la dimensione squisitamente personale (Hoffman, 1998). Da questo punto di vista, senza la costruzione di una storia, nella relazione professionale ma intima tra terapeuta e paziente, non ha luogo nessun processo terapeutico. La storia del loro rapporto offre la possibilità di cogliere i punti fragili nelle modalità di costruire soddisfacenti relazioni di attaccamento da parte del paziente, di osservare, cioè, l’enactment dei suoi MOID. Il concetto di enactment, che tratteremo nella terza parte del libro, indica una messa in gioco di ruoli interattivi che danno vita a configurazioni relazionali ricorrenti, guidata dai livelli procedurali impliciti.
I MOID possono esprimersi soltanto a livello interattivo e hanno bisogno di una teoria dell’interazione psicoterapeutica per essere compresi e trattati. L’Infant Research psicoanalitica ha trovato un esito importante nella teoria dell’interazione del “qui ed ora”, del momento presente (Stern, 2004) (e dell’espansione diadica della coscienza intersoggettiva), grazie, in particolar modo, al lavoro del Boston Group (Sander, D.N. Stern, Lyons-Ruth, Tronick, Morgan, Harrison, Nahum, Bruschweiler-Stern), di Beebe e Lachmann (2002), di Lichtenberg, Lachmann e Fosshage (2002). Assegnamo molta importanza a questi modelli teorici e discutiamo in molti passaggi del testo le idee di questi autori; ma il modello di psicoterapia psicoanalitica relazionale che più riguarda la possibilità di trattare i MOID ha a che vedere con una concezione del lavoro terapeutico come negoziazione dei significati dell’esperienza relazionale che si costruisce nel corso di un dialogo che ha bisogno di un rapporto intersoggettivo lungo, con una storia. Il cambiamento psicoterapeutico, per quanto riguarda i MOID, è veicolato dall’esperienza di una relazione che, per qualche anno, diventa un importante riferimento nella realtà della vita di una persona; relazione che offre alternative nell’esplorare, con coraggio, la propria soggettività e nel “praticare” nuovi modi di essere se stessi in relazione.
Nella psicoterapia psicoanalitica ad orientamento relazionale si è passati dall’idea che il paziente dovesse mettere in parole la sua esperienza per trasformarla, all’idea che il paziente debba essere messo in condizione di poter fare esperienza di alcune dimensioni essenziali della propria soggettività che sono state dissociate .
Le parole vengono contestualizzate nel dialogo di una relazione incarnata; un dialogo e una relazione nei quali l’aspetto dei gesti interpersonali, delle inter-azioni (delle quali lo scambio verbale fa parte), ha un ruolo fondante.
Il terapeuta non ha più il ruolo prefissato di interprete esterno e traduttore dell’inconscio del paziente, ma assume i ruoli interattivi che permettono al paziente di trovare gli ingredienti per costruire le dimensioni di funzionamento mentale (i MOI) che gli mancano per avere relazioni di attaccamento soddisfacenti.
Il paziente impara a esprimere se stesso in modo nuovo e più articolato, a muoversi tra livelli verbali espliciti (intenzionali e simbolici), livelli impliciti (procedurali e interattivi), nell’intrecciarsi dei quali riconosce se stesso come parte di un sistema relazionale che concorre a costruire in modo attivo (da agente), e nel quale è riconosciuto dall’altro, che a sua volte riconosce sia come costruito (Winnicott direbbe creato) dalle sue modalità interattive, e quindi conoscibile e in parte prevedibile, sia come sfuggente e irraggiungibile. In questo processo terapeuta e paziente si accorgono di parlare un linguaggio privato, riconvenzionato, comprensibile grazie alla costruzione di una storia e alla condivisione di molti importanti momenti e di molte metafore.
La consapevolezza cosciente, riflessiva, è una dimensione fondamentale del processo di cambiamento terapeutico; ma la consapevolezza va posta in relazione dialettica con la dimensione implicita e procedurale, che non è consapevole per definizione, anche se può essere oggetto di riflessione.
La negoziazione dei significati, anziché la loro interpretazione da parte del terapeuta, assume la funzione cruciale di costituire il processo intersoggettivo che consente il dispiegarsi dell’azione psicoterapeutica. Il paziente si impegna nel processo terapeutico e sperimenta la sua partecipazione all’interno di un dialogo, nel quale la sua voce appare sempre di più come l’espressione sia di imperativi sia di potenzialità del suo mondo soggettivo, e la voce del terapeuta come un ingrediente necessario all’articolazione di un dialogo sempre più personale, dove ciò che era dissociato lascia spazio a ciò che è creativo.


Cesare Albasi



Indice



XI Come una prefazione

XVII Introduzione


PARTE PRIMA – Il concetto di MOID

5 CAPITOLO 1 – Bowlby e i MOID
7 1.1 MOI e difese
10 1.2 MOI e dissociazione


15 CAPITOLO 2 – MOID e livello procedurale
16 2.1 I molti livelli del funzionamento mentale
19 2.2 I MOI come moduli stratificati di funzionamento mentale e il livello procedurale
21 2.3 La conoscenza implicita e la dimensione procedurale dei MOI
24 2.4 La tradizione della ricerca sull'attaccamento e i molti livelli di funzionamento dei MOI
26 2.5 Il modello della funzione riflessiva di Fonagy e Target e il senso di «agency» (di sentirsi
promotore attivo di gesti e di scambi interpersonali, e di ricerca di significati)
29 2.6 Inconscio, difese e molteplicità dei MOI
33 2.7 I MOID e le ricerche sulla precoce relazione di attaccamento madre bambino: l'ampio
paradigma dell'Infant Research
37 2.8 Rappresentazioni pre-simboliche e rigidità patologica nei termini di Beebe e Lachmann
39 2.9 La teoria del bio-feedback sociale del rispecchiamento


41 CAPITOLO 3 – Il concetto di MOID
41 3.1 Fenomenologia dei MOID
44 3.2 Attaccamenti traumatici, trauma e MOID
47 3.3 Cosa sono e cosa non sono i MOID
3.3.1 I MOID sono «rappresentazioni» dissociate?, p. 47 – 3.3.2 I MOID sono una nuova
sindrome?, p. 48 – 3.3.3 I MOID sono «stati» dissociati?, p. 49 – 3.3.4 I MOID sono un
processo?, p. 50 – 3.3.5 I MOID si situano a un livello procedurale e sono inconsci?, p. 50
– 3.3.6 MOID è un altro termine per indicare la conoscenza procedurale?, p. 52 – 3.3.7 I
MOID consistono in un deficit e in un arresto evolutivo?, p. 52 – 3.3.8 I MOID si
sviluppano definitivamente nell'infanzia?, p. 53 – 3.3.9 I MOID sono strutture che
contengono una configurazione Sé-altro?, p. 54
55 3.4 MOID e psicoterapia


56 CAPITOLO 4 – Paradossi e MOID
58 4.1 Cosa significa la parola «paradosso»
59 4.2 Conflitto e paradosso
61 4.3 Come ci comportiamo di fronte al paradosso? Possiamo dissociare
62 4.4 Il concetto di MOID come processo e come paradosso


PARTE SECONDA – La dissociazione nella psicoanalisi relazionale e i MOID
69 CAPITOLO 5 – Le origini del concetto di dissociazione e il fondamento della prospettiva
relazionale sulla dissociazione nel pensiero di Ferenczi
69 5.1 Introduzione
76 5.2 Gli Studi sull'isteria di Freud e Breuer
80 5.3 La teoria di Pierre Janet
5.3.1 Dissociazione e psicopatologia, p. 81
83 5.4 Il contributo di Sándor Ferenczi: origini e fondamenti di una comprensione psicoanalitica
del trauma e della dissociazione
5.4.1 Dissociazione e molteplicità, p. 85 – 5.4.2 Trauma e dissociazione, p. 87 – 5.4.3
L'identificazione con l'aggressore, p. 89 – 5.4.4 Dissociazione e identificazione con
l'aggressore, p. 91 – 5.4.5 Riflessioni sul concetto di dissociazione in Ferenczi, p. 92 –
5.4.6 Il contesto relazionale del trauma e della dissociazione, p. 93
96 5.5 Breve accenno al pensiero di Winnicott sulla dissociazione
5.5.1 Lo sviluppo primario dell'individuo, p. 97 – 5.5.2 Non integrazione, dissociazione e
MOID, p. 100 – 5.5.3 La relazione oggettuale, p. 101
103 5.6 Fairbairn: repressione, dissociazione e modello della mente


107 CAPITOLO 6 – Alcune riflessioni psicoanalitiche successive sulla dissociazione
107 6.1 La scissione verticale in Kohut
109 6.2 Arnold Goldberg: scissione verticale, diniego e la mente che si sdoppia
6.2.1 La mente che si sdoppia, p. 110 – 6.2.2 Il senso soggettivo della dissociazione, p.
110 – 6.2.3 Il fallimento della sintesi, p. 111 – 6.2.4 Interazione madre-bambino, p. 112
– 6.2.5 Psicopatologia della scissione verticale, p. 113
114 6.3 La prospettiva intersoggettiva di Stolorow, Atwood, Lachmann, Fosshage, Orange e
Brandchaft
117 6.4 Bollas: il conosciuto non pensato
118 6.5 John Steiner: i rifugi della mente
119 6.6 Benjamin: i MOID e una teoria intersoggettiva del processo di riconoscimento
123 6.7 Aron: il Sé come soggetto e il Sé come oggetto


126 CAPITOLO 7 – Da Sullivan a Bromberg e alla concezione contemporanea sulla molteplicità e i
processi dissociativi
126 7.1 Sullivan e la costruzione interpersonale dell'esperienza
7.1.1 L'approccio interpersonale nello studio della personalità, p. 128 – 7.1.2 Il conceto
di molteplicità, p. 130 – 7.1.3 I modi dell'esperienza, p. 130 – 7.1.4 La centralità
dell'esperienza dell'angoscia, p. 132 – 7.1.5 L'intrapsichico dal punto di vista
interpersonale, p. 134 – 7.1.6 MOID e non-me, p. 135 – 7.1.7 Il sistema del Sé, delle
difese e la dissociazione, p. 136 – 7.1.8 Il concetto di dissociazione e i MOID, p. 139 –
7.1.9 Dissociazione e psicopatologia, p. 142
145 7.2 Philip Bromberg: stare tra gli spazi
7.2.1 La molteplicità del Sé, p. 147 – 7.2.2 La centralità del concetto di dissociazione in
Bromberg, p. 150 – 7.2.3 La dissociazione post-traumatica, p. 154
159 7.3 Donnel B. Stern: esperienza non formulata, dissociazione e immaginazione
7.3.1 Esperienza non formulata, p. 159 – 7.3.2 Articolazione del concetto di
dissociazione nel pensiero di Donnel B. Stern, p. 162 – 7.3.3 MOID, dissociazione e
campo interpersonale, p. 164 – 7.3.4 Due tipi di dissociazione: forte e debole, p. 164
166 7.4 Pizer e la dissociazione come impossibilità di costruire ponti tra isole del Sé
7.4.1 Paradosso e molteplicità del Sé, p. 167 – 7.4.2 Negoziazione e funzioni materne, p.
167 – 7.4.3 Sé distribuito e Sé dissociato, p. 168
169 7.5 Una caleidoscopica molteplicità: il punto di vista di Jody Davies sul trauma, l'inconscio e
la dissociazione
7.5.1 Il caleidoscopico inconscio relazionale, p. 174 – 7.5.2 Inconscio e integrazione, p.
175 – 7.5.3 Dissociazione e trauma, p. 177 – 7.5.4 Dissociazione e disturbo dissociativo
dell'identità, p. 178
179 7.6 Peter Goldberg: dissociazione, pseudo-vitalità e uso non autentico dei sensi


PARTE TERZA – MOID e psicoterapia psicoanalitica relazionale

185 CAPITOLO 8 – MOID e interazione nella psicoterapia psicoanalitica relazionale
185 8.1 Introduzione
187 8.2 L'interpretazione e le azioni terapeutiche
8.2.1 Problemi nell'utilizzo clinico dell'interpretazione concettualizzata dalla psicoanalisi
classica nelle psicoterapia psicoanalitica relazionale, p. 187 – 8.2.2 L'improbabile
neutralità terapeutica, p. 189 – 8.2.3 Interpretazione e MOI, p. 191
193 8.3 La teoria di riferimento del terapeuta e la pratica della psicoterapia
195 8.4 Livello implicito ed esplicito, interazione e introspezione


199 CAPITOLO 9 – Teorie cliniche dell'interazione: confine intimo e pensiero dialettico
201 9.1 L'interazione nella tradizione interpersonale
203 9.2 Il confine intimo dell'esperienza
205 9.3 MOID e interazione nella dialettica tra rituale e spontaneità
9.3.1 Pensiero dialettico e teoria dell'interazione terapeutica, p. 208


210 CAPITOLO 10 – Per una teoria dell'interazione psicoterapeutica: MOID e concetto di enactment
210 10.1 Introduzione
211 10.2 La diffidenza ideologica di Freud nei confronti dell'azione e le strategie di evitamento
dell'interazione nella teoria e nella pratica
212 10.3 «Acting», attualizzazione ed «enactment»
215 10.4 Il concetto di Enactment
219 10.5 Auto-svelamento e MOID


224 CAPITOLO 11 – Enactment e processo terapeutico secondo Bromberg
224 11.1 Rimanere se stessi cambiando, cambiare per rimanere se stessi
11.1.1 Molteplicità, stare negli spazi ed enactment, p. 225 – 11.1.2 Trauma, non-me ed
enactment, p. 227 – 11.1.3 Sicurezza sorpresa e cambiamento (ancora sul coraggio in
psicoterapia e sul processo di negoziazione), p. 229 – 11.1.4 L'esperienza di essere
sull'orlo di un precipizio, e la paura di cadere nell'abisso, p. 231 – 11.1.5 Tecnica ed
enactment dell'esperienza di fallimento interattivo, p. 232 – 11.1.6 La dissociazione e
l'enactment del sentimento di vergogna del paziente, p. 243
236 11.2 Il processo terapeutico e l'evoluzione dalla dissociazione al conflitto
11.2.1 Dalla dissociazione al conflitto, p. 236 – 11.2.2 La depressione come sintomo o
come stato del Sé, p. 238 – 11.2.3 Resistenza, molteplicità e dialettica tra stabilità e
cambiamento, p. 238 – 11.2.4 Dalla dissociazione al conflitto: i sogni, p. 240 – 11.2.5
Essere sognatori, p. 240 – 11.2.6 L'incubo della realtà terapeutica, p. 241


243 CAPITOLO 12 – Negoziazione e MOID
243 12.1 Le politiche della negoziazione e il potere del terapeuta
12.1.1 Alcune dimensioni del potere, p. 244
247 12.2 Negoziazione e reciprocità
250 12.3 La negoziazione del paradosso nel processo terapeutico
252 12.4 Una teoria del non-negoziabile
255 12.5 I MOID e la conquista del paziente della sua possibilità di negoziare


259 CAPITOLO 13 – MOID, gioco e psicoterapia psicoterapia psicoanalitica relazionale
259 13.1 Introduzione
261 13.2 Il gioco
263 13.3 La funzione espressiva del gioco
269 13.4 Il gioco della psicoterapia
272 13.5 Giocare la finzione psicoterapeutica
276 13.6 MOID e negoziazione nel gioco psicoterapeutico
278 13.7 Interazione, contenuto, processo
280 13.8 Conclusioni



281 Appendice
281 A.1 Sander
A.1.1 Introduzione, p. 282 – A.1.2 Il processo di vita e i suoi paradossi, p. 284 – A.1.3
Lo sviluppo precoce e la sequenza dei compiti adattativi tra madre e bambino, p. 290 –
A.1.4 Il processo di riconoscimento, p. 292 – A.1.5 Il riconoscimento e lo «stato», p.
294
296 A.2 Ira Brenner: la dissociazione del traumatica
A.2.1 Il carattere dissociativo, p. 296
298 A.3 Contributi di ricerca clinica e teorica
A.3.1 Russel Meares: intimità e alienazione, p. 298 – A.3.2 Il modello degli Stati
Comportamentali Separati (SCS) di Frank W: Putnam, p. 301 – A.3.3 Le forme della
dissociazione secondo Bessel A. van der Kolk, p. 304 – A.3.4 Emily A. Holmes, p. 306
307 A.4 Riflessioni sull'attaccamento e la psicopatologia dello sviluppo
A.4.1 Liotti: la disorganizzazione dell'attaccamento e la psicopatologia dissociativa, p.
307 – A.4.2 Trauma e dissociazione, p. 309
312 A.5 Nijenhuis: trauma e dissociazione strutturale della personalità
314 A.6 Thomas: la teoria della protezione interpersonale


317 Bibliografia