Chi pretende dai malvagi il pagamento di un servizio, sbaglia due volte: anzitutto perché aiuta chi non lo merita, poi perché non può più cavarsela senza danno.Il lupo, nell'inghiottire, si era conficcato un osso in gola; non potendone più dal dolore, si mise ad adescare, col miraggio di una ricompensa, gli animali, a uno a uno, perché gli cavassero quel tormento. Alla fine la gru si lasciò persuadere a forza di giuramenti e, affidando alla gola del lupo l'intera lunghezza del suo collo, gli fece la pericolosa operazione. Alla pretesa del premio pattuito il lupo disse: "Sei proprio un'ingrata; sei riuscita a portare in salvo dalla mia bocca la testa e vieni ancora a chiedere l'onorario". (Fedro)

 


La malattia è sempre una esperienza regressiva, che coinvolge il malato e il medico sul terreno di una angoscia di morte, che non puo’ non essere tenuta a mente. Su uno sfondo del genere si crea una intimità fisica ed emotiva inconsueta, che è tipica della relazione tra medico e paziente.
Normalmente in tutte le relazioni di intimita’ cosi’ intensa si attiva un processo che è comunemente conosciuto come transfert. Transfert significa spostare su una persona per noi significativa, i sentimenti che, a livello inconscio, esistono per una persona significativa dell’infanzia: nell’inconscio è come se continuasse a vivere il bambino che siamo stati. Ma accanto a questa accezione, di solito per transfert si intendono un insieme di sentimenti compresi quelli piu’ comuni, per cui la simpatia, se il medico è “umano”, oppure l’antipatia, se è sgarbato, etc.
È noto che ogni transfer genere un controtrasfert, che è la risposta affettiva della persona investita nel transfert; in questo caso del medico verso il paziente; anche qui’ si deve tenere conto di una relazione sia inconscia che reale.
Quindi, in ogni relazione in cui avvenga una comunicazione è necessario tener presente un doppio livello:
1. Uno legato al contenuto (p.es. le informazioni fornite riguardo alla malattia)
2. Uno legato alla relazione; tale livello di “metacomunicazione”, riguarda il transfert
È bene che il medico sia consapevole dell’esistenza di queste dinamiche. Infatti la conoscenza dell’esistenza del transfert del paziente, senza bisogno di portarlo a conoscenza, aumenta la compliance, e gli effetti della terapia. E’, altresi’ importante, per il medico, la conoscenza dell’esistenza del proprio controtransfert, cioè i propri atteggiamenti emotivi, per evitare di riversarli sul paziente. (p.es. l’ansia di una diagnosi infausta, e quindi scompensarsi nel rapporto con questo).

Accanto a questa dinamica che è basilare occorre fare alcune altre osservazioni riguardo a questa rapporto che e’ pressoché unico.
Nella relazione medico/paziente entrano in gioco anche fenomeni suggestivi.
La relazione medico/paziente è asimmetrica e quindi per sua natura crea una situazione di dipendenza che a sua volta genera ansia e la messa in atto di meccanismi di difesa, in entrambi gli attori. (medico e malato);
Nella relazione medico/paziente si attivano rapporti basati sulla dinamica dominio/sottomissione: e questo fenomeno richiama residui di onnipotenza infantile.
Ne consegue che il rapporto medico/paziente è guidato quindi dalle esperienze infantili relative al vissuto di dipendenza dalla figure genitoriali o significative dell’infanzia.
In questa ottica il medico può identificarsi come un padre iperprotettivo e quindi capace di accogliere, incoraggiare e tollerare le richieste di rassicurazione del paziente.
Oppure come padre esigente, che non tollera la minima richiesta di dipendenza, e quindi si fa freddo e scostante..
Dal punto di vista del paziente ci si può trovare di fonte quello che può tollerare la dipendenza, e addirittura fare una forte regressione, e quindi richiedere eccessiva attenzione o rassicurazione. Ma ci può essere quello che nega la dipendenza e allora ci si trova di fronte ad un paziente poco o affatto collaborativo.
Come gia’ accennato accanto a sentimenti di dipendenza sono presenti quelli di onnipotenza. I sentimenti di onnipotenza tra l’altro sono l’altra faccia della medaglia della dipendenza e quindi dell’impotenza.
La frequente inefficacia di molti interventi terapeutici o la poca collaborazione del paziente, o la difficoltà di inquadrare i sintomi in una chiara patologia nosologicamente definibile, obbligano il medico a confrontarsi con una frustrazione del proprio narcisismo che può facilmente portare ad un accanimento terapeutico al di là di qualsiasi ragione, oppure di abbandono di qualsiasi speranza vita,
Questi atteggiamenti sono, spesso, guidati da una aggressività stimolata dalla frustrazione dell’onnipotenza infantile o da altre motivazioni inconsce che portano a non accettare la realtà..
In questa situazione in cui entrano in gioco angosce arcaiche, situazioni regressive e situazioni attuali, conflitti interni, etc., il problema e’ la difficoltà di trovare una giusta distanza tra due atteggiamenti diversi:
1. un eccessivo tecnicismo, che è letto come indifferenza nei confronti del paziente e dei suoi famigliari, ma che e ‘una difesa verso una relazione troppo coinvolgente. oppure;
2. un eccessivo coinvolgimento emotivo col il rischio di disorganizzarsi sul piano della propria professionalità e identità di medico.
In conclusione, la relazione medico/paziente può essere definita di sostegno (“sub-tenet”, cioè che si fa carico del soggetto” vale a dire non solo cura, ma si prende cura).
L’idea è quella di riuscire ad instaurare una giusta distanza attraverso l’empatia, e l’osservazione partecipe. (Sullivan,1953)
Essa è basata sull’ascolto neutrale. Per neutralità dell’operatore si intende la giusta distanza, identificandosi con l’altro empaticamente. È necessario un coinvolgimento emotivo adeguato, ne’ carente ne’ eccessivo. Questo consente di evitare sia l’accanimento terapeutico, sia la sfiducia nel proseguimento della terapia quando vi sia un filo di speranza.
La difficolta’ e’quella di tener conto di questi aspetti e di saperli maneggiare, perche’ tradizionalmente la formazione del medico ha tralasciato l’importanza degli aspetti relazionali.
La medicina e’ stata guidata negli ultimi secoli da un principio che e’ comunemente definito “disease center medicine”, che mettendo al centro dell’attenzione del medico la malattia perdeva di vista il malato assimilandolo all’organo malato. Da qualche anno a questa parte tale modello e’ andato in crisi, e il medico ha cercato di mettere sempre piu’ al centro della sua attenzione il malato. Si e’ andata sviluppando quell’atteggiamento descritto come “patient center medicine”. Ma tutto questo potrebbe rischiare di non oggettivare piu’ la malattia e non avere piu’ chiare diagnosi. La ricerca si e’ quindi mossa e si avuta una teorizzazione, e una prassi che aiuta il medico nel suo lavoro quotidiano. (Moja, 2000)

Dott.ssa Franca Aceti, Dr Lionello Petruccioli

Bibliografia

Moja a.e., Vegni E., La visita medica centrata sul paziente. Cortina Milano 2000
Sullivan, H.S., Interpersonal Theory of Psychiatry, Norton, New York 1953 (trad. it.: Teoria interper-sonale della psichiatria, Feltrinelli, Milano 1962).