Parliamo di adolescenza secondo l’ipotesi teorica dell’OOC (Oggetto Originario Concreto) del Prof. A. B. Ferrari (1992)  e basandoci sulla lettura, estratti e commenti del suo libro “Adolescenza la seconda sfida” . Un libro che ci introduce all’uso di alcune ipotesi psicoanalitiche per avvicinarci al mondo psichico dell’adolescente ed apre ad alcune riflessione sia dal punto di vista clinico che teorico.Per eventuali approfondimenti riguardo le ipotesi del Prof. A. B. Ferrari vi segnaliamo il sito dell’Istituto Psicoanalitico di Formazione e Ricerca “A.B. Ferrari” (www.unoebino.it).

Le adolescenti anoressiche si rendono conto di essere loro stesse prigioniere di una teoria secondo la quale il corpo deve essere messo in prigione, rinchiuso e controllato essendo un elemento che reputa sovversivo. Sovversivo perché cambia, perché evolve e va dall’infanzia all’adolescenza con manifestazioni particolarmente evidenti nelle ragazze. Nella pratica clinica avvicinarsi alle adolescenti anoressiche vuol dire, quindi, anche avvicinarsi ai loro aspetti claustrofobici (paura degli spazi chiusi).
Le ragazze in particolare e frequentemente vivono un conflitto: osservare i loro cambiamenti corporei spesso rapidi avendo scarse, anzi nulle possibilità di controllo.
E’ possibile che durante questa fase l’adolescente scelga come referente estetico un particolare stereotipo di donna ma è altresi possibile che questi cambiamenti continui e non prevedibili possano far sentire il corpo come estraneo, come fonte di angoscia tanto da viverlo in modo persecutorio.
Quindi all’aspetto claustrofobico può subentrare un aspetto claustrofilico (desiderio di stare in luoghi chiusi) come garanzia che il corpo rimanga bloccato, come tentativo estremo di controllo dei propri cambiamenti corporei.
Nell’anoressica il controllo estremo del proprio corpo fino al morire e la volontà di uccidersi fanno parte del gioco; la prigionia del corpo ha questo significato.

La bulimia può essere messa in correlazione con l’agorafobia (paura dei luoghi aperti). In questo caso l’aspetto fondamentale è la mancanza di limiti, che è poi il desiderio di occupare il limite “illimitato” cioè la morte.
Nella bulimica il tentativo è quello di dilatarsi per occupare spazio e rendere “illimitato” il “limitato”.
In realtà la netta separazione descritta fra anoressia e bulimia (come fra claustrofobia e agorafobia) non corrisponde alla realtà clinica in cui tutti questi aspetti ed i loro opposti possono coesistere e presentarsi in modo più o meno evidente a seconda delle necessità e dell’angoscia presente nei ragazzi.
Appare evidente che stiamo affrontando l’argomento della relazione mente-corpo in cui abbiamo un polo fisico, il corpo, che si modifica che è il teatro del conflitto ed il polo psichico che tenta di condurre il gioco, anche in modo perverso.
Infatti l’anoressica ritiene possibile il controllo onnipotente sia del suo spazio mentale che della sua dimensione fisica, usando in modo alternante la funzione di claustrofilia (potere sul corpo con il suo tentativo per non farlo modificare) e claustrofobica (angoscia per un corpo che diventa cosi una prigione soffocante).
Un dato di realtà può servire a fare il punto della situazione, partendo ad esempio dall’immagine fisica. Quale rapporto stabilisce la ragazza con il suo corpo?
Ad esempio: si sente maschio o femmina? Per il maschio è più facile identificarsi con il proprio sesso, almeno come prima istanza. Per una ragazza il processo più naturale è percorrere lo sviluppo partendo dal corpo per arrivare alla mente, mentre per il ragazzo, pur attraversando un percorso analogo, è andare dalla mente al corpo, con influenze anche di condizionamenti culturali.
E’ un preconcetto radicato nella cultura occidentale che il corpo sia impotente e femminile, mentre la mente potente e maschile.
Delle volte le ragazze hanno difficoltà con la loro femminilità, che sentono come una condizione da colpire, alla quale sono condannate e da cui si sentono minacciate e che vorrebbero cancellare. La dimensione claustrofobica è evidente: si sentono prigioniere del proprio corpo, chiuse nella loro esistenza di donne ed è proprio questa esistenza di donne quindi che desiderano negare (con la magrezza estrema, le “forme”, le caratteristiche femminili tendono a scomparire per arrivare ad una neutralità apparente di genere). Hanno a che fare con qualcosa che non hanno deciso loro e questo non è tollerabile.
Vale la pena considerare quanta violenza sia contenuta in questa attitudine, con un attacco frontale a tutto ciò che non rientra nella loro programmazione.
Quello che provano è la “sensazione di fastidio fisico delle carne” quando si accorgono di solito “improvvisamente di essere donne” e l’odio è la reazione a queste percezioni. Il corpo è vissuto attraverso una immagine deformata, perdono il senso dello spazio rispetto al proprio corpo, considerandolo formato da aspetti separati da loro stesse e fra di loro: un mostruoso assemblaggio che costruiscono con la fantasia.
E questa esperienza di percezione della propria forma corporea genera spavento ed angoscia. Si parla poi di una specie di “sensazione parossistica” con cui si accompagna la percezione del corpo distorta, come se pezzi del proprio corpo fossero sempre in primo piano. La magrezza è il modo per “non sentire” queste sensazioni, un tentativo di soffocamento delle percezioni, un mezzo per “emergere” dal sentire, intesa da loro solo come doloroso e soffocante.
Poiché tutto questo serve a porre dei confini rigidi di contenimento dell’angoscia, la perdita dei confini libera la situazione di compressione con la sensazione di “perdersi” , di illimitato che fa paura. Possiamo prendere l’immagine di una diga che tenta con le sue mura rigide di controllare l’urto dell’acqua e basta una incrinatura a farla aprire e l’acqua dilaga con la sua forza e senso di non contenimento.
Per questo tutto ciò che si allontana dal loro “consueto”, “conosciuto”, diventa un “baratro”. O nulla o tutto. O confini strettissimi o senza confini; o tutte e solo corpo o con la sensazione di non avere più un corpo.
E’ peculiare di questo tipo di disturbo una modalità di pensiero “ingabbiante” che rende queste persone “carceriere” di se stesse e non “compagne” di se stesse.
Molti dei funzionamenti mentali degli adolescenti si basano sul presupposto che non si deve assolutamente dipendere da nessuno; per l’adolescente è impossibile dipendere, perché qualunque sia l’aspetto di dipendenza si sente prigioniero con una intensità particolare, quasi ineluttabile.
Ma non si può annullare una condizione esistenziale senza mettere in pericolo l’esistenza stessa ed è questa la ragione della fine tragica di alcune adolescenti che soffrono di questi disturbi. Quando la difficoltà coinvolge il “vivere” il soggetto può sperare di uscirne solo accettando un aiuto qualificato ed incisivo.
E’ importante quando ci si avvicina ai ragazzi mettere a fuoco quali siano le tesi di vita, la visione del mondo usate da loro per giustificare il loro dire ed il loro agire.
Una modifica degli aspetti strutturanti della personalità sarà possibile con la verifica della funzionalità o meno della visione del mondo, del loro dire, dell’uso delle loro percezioni con il conseguente comportamento che mettono in atto.
Spesso le strutture che usano sono rigide, sono una protezione-scudo non flessibile. E questo è l’aspetto più preoccupante. Strutture elastiche finirebbero per adattarsi e per trovare soluzioni alternative, mentre le modalità di pensiero rigide ed immodificabili portano ad un ulteriore irrigidimento ed estremizzazioni con il crescendo di sintomi che portano fino all’uso coatto delle flebo ed il raggiungimento del non ritorno.
Tutti questi meccanismi hanno a che fare con un quadro referenziale in cui i soggetti scrivono un loro “progetto” di vita. E questo progetto ha tutte le caratteristiche comuni e banali di ciò che comunemente chiamiamo “illusione”.
L’illusione è un programma curato in tutti i suoi particolari e proiettato nel tempo in cui la finalità è rispondere in modo magico alle proprie esigenze, in cui la unica matematica certezza è ovviamente ed unicamente la delusione, creando un circuito perverso nella mente dell’adolescente.  
Va individuata quindi il tipo di illusione che determina la delusione: è la paura di non avere limiti oppure il suo contrario, il sentirsi prigioniera e quindi sentirsi soffocare, non avere spazio?
Il binomio claustro-agorafobia è presente normalmente negli adolescenti come un continuo movimento da e per, la cui funzione è di permettere la loro crescita.  Essi sono forzati, da una parte a fare spazio nel loro interno alle esperienze; ma vivono questo spazio costantemente come esiguo ed insufficiente e da questo spazio interno anelano ad uno spazio esterno come luogo o teatro del loro vivere e del loro conoscere, esponendosi inevitabilmente ad uno spazio illimitato che crea spavento.
Per quando riguarda l’illusione abbiamo già definito in altri momenti che può essere resa inoffensiva solo se trasformata in qualcosa che abbia a che fare con la speranza.
Infatti l’adolescente è portato ad estremizzare ed è insofferente verso tutte le forme di pensiero che diremmo più malleabili, plasmabili, caratterizzate da obiettivi meno definiti , meno rigidi e d è quindi facile preda delle illusioni.
I ragazzi hanno la necessità di sapere e di essere in grado di riconoscere quali sono le cose che gli appartengono e che sono veramente loro.
E se il corpo è vissuto come estraneo, come non appartenente a sé stessi mettono in atto il progetto onnipotente di eliminarlo per ridare vita poi ad un altro corpo, il loro.
Con un aiuto specializzato si può sostenere una mente intenta a crearsi un nuovo corpo, non lasciarla sola in questo processo. Nella relazione analitica, l’analista può temporaneamente diventare “il corpo” di quella mente, permettendo all’analizzando gradualmente di riappropriarsene a suo modo, passando da un progetto onnipotente ed illusorio di distruzione ad un processo di speranza di vita in cui acquisire esperienza di sé.

Alla prossima puntata

Dssa Silvia Chieco Farina
Medico-Chirurgo
Specialista in Psicologia Clinica e Psicoterapia- Psicoterapeuta.
e-mail: chieco.silvia@libero.it

Dr. Paolo Bucci
Psicologo, Psicoterapeuta.
Socio fondatore dell’Istituto Psicoanalitico di Formazione e Ricerca “Armando Ferrari”.
e-mail: unobino@gmail.com