Parliamo di adolescenza secondo l’ipotesi teorica dell’OOC (Oggetto Originario Concreto) del Prof. A. B. Ferrari (1992)  e basandoci sulla lettura, estratti e commenti del suo libro “Adolescenza la seconda sfida” . Un libro che ci introduce all’uso di alcune ipotesi psicoanalitiche per avvicinarci al mondo psichico dell’adolescente ed apre ad alcune riflessione sia dal punto di vista clinico che teorico.Per eventuali approfondimenti riguardo le ipotesi del Prof. A. B. Ferrari vi segnaliamo il sito dell’Istituto Psicoanalitico di Formazione e Ricerca “A.B. Ferrari” (www.unoebino.it).

Un punto fondamentale del periodo adolescenziale è che l’adolescente ha scarsa conoscenza delle proprie potenzialità e questo spesso genera angoscia.
Per fronteggiare l’angoscia relativa al nuovo scenario che si fa presente l’adolescente può servirsi di modelli ideali.
E’ avvolto da dolore mentale per l’acuta sensibilità verso il proprio mondo interno, per la confusione del mondo esterno, la complessità delle emozioni e sensazioni che percepisce e verso le quali ha scarse capacità di gestione.
E rivolgersi all’ideale ed all’illusione, scevri di difficoltà, è la via più naturale.
Ma l’esperienza diretta ed il vivere incombono e bisogna scendere a patti con essi, con scelte fondamentali anche per l’età adulta, la qualità della vita e lo spreco o meno delle proprie energie.
Salutato il “potere magico infantile” rimangono le proprie difficoltà, il proprio “non essere ancora definito”, in cui il corpo-mente, il reale-ideale si inter-relazionano ed  entrambi devono coesistere per “poter essere”.
L’adolescente è vulnerabile sulla ideologia, su schemi precostituiti a cui aderire e che sembrano dare certezze, per poter poi gradualmente arrivare a sostituire idee preconcette e fantasiose con le proprie esperienze personali, nel fare e nello sperimentarsi, unico mezzo per conoscersi.
Non c’è più il contenimento infantile (i giochi, la stanza dei giochi), c’è un mondo di proporzioni enormi. Non ci sono più i confini, bisognerà scoprire i propri.
Lo stesso proprio mondo corporeo che cambia è indecifrabile, li rende sconosciuti quali estranei a loro stessi, con una serie di risposte anche problematiche che si traducono in comportamenti, modi, appartenenze che tutti noi conosciamo e vediamo quotidianamente.
Si ha anche la percezione della dilatazione dello spazio ed in risposta si possono avere atteggiamenti di tipo maniacale, con la deformazione della percezione del tempo come risposta all’angoscia provata nel constatare che il vivere è complesso, pericoloso e contiene tanto tempo da gestire.
Per il ragazzo e per gli adulti a lui vicini non è facile stabilire quale grado di maniacalità è tollerabile e funzionale per poter evitare di tornare all’uso di comportamenti caratterizzati da strutture infantili.
L’universo infantile è ancora presente, con nostalgia e come rifugio sicuro e conosciuto, ma fonte di funzionalità inadeguate ed inadatte al momento adolescenziale.
I tentativi di fuga verso il passato o verso il futuro possono portare l’adolescente ad immaginare di essere banale per inadeguatezza nei confronti di necessità reali oppure a far credere di essere onnisciente dilatando al di là di ogni limite la sua maniacalità.
Si manifestano cosi la svalutazione del linguaggio comune (appartenente agli adulti e lontano dalle loro necessità), l’invenzione di linguaggi misteriosi con i quali creano spazi personali in cui muoversi liberamente. Queste modalità hanno la funzione evidente di salvaguardare le prime percezioni ed esperienze molto ansiogene, che tentano inoltre di nascondere per un grande senso di pudore.
Proprio il senso del pudore richiede molta sensibilità e rispetto perché appartiene ai primi accenni di una personalità in formazione.
L’adolescente è attratto dalla realtà ma non ne sa riconoscere i confini per cui vive frequentemente situazioni di smarrimento e confusione.

Abbiamo già detto come il “fare” ed il “conoscere” siano l’espressione di una unica operazione, per cui anche l’acting (nel senso di gesto, azione anche evidente) acquista il valore di una interazione comunicativa.
In questo modo fare e conoscere possono correlarsi e portare ad una riflessione sulle proprie emozioni e sull’esperienza di sé.
L’esperienza di sé esercita una grande attrazione sull’adolescente, perché per lui l’esperienza conferisce potere, anche se con ambivalenza.
Se prevale il senso di inadeguatezza la paura lo spinge verso l’isolamento, con la necessità poi di trovare uno spazio da condividere con altri , nel gruppo, nelle istituzioni.
Se questa necessità rimane non soddisfatta può subentrare un esasperato livello di autostima che crea le condizioni per uno sdegnato isolamento, che l’adolescente attribuisce all’incomprensione del mondo e degli adulti che lo circondano.
Queste fasi caratterizzanti pongono seri problemi ai genitori ed adulti che si trovano ad avere a che fare con gli adolescenti.
Non è facile accompagnare il rapido alternarsi fra momenti di chiusura in se stessi e momenti di espansione verso la possibilità di fare nuove esperienze.

Nel lavoro clinico assistiamo a come l’adolescente vive sensazioni ed emozioni intense ed alla sua difficoltà di contenerle. Il compito dell’analista sarà quello di favorire l’instaurarsi ed il miglioramento del dialogo con se stesso affinchè abbia la possibilità di dare un nome ed una funzione alle emozioni provate diminuendo cosi l’angoscia.
Gli aspetti di relazione del ragazzo con il mondo esterno possono essere visti in un secondo momento per evitare anche il rischio che l’analista venga interpretato come rappresentante del mondo adulto ed inserire elementi di disturbo che possono influire sulla relazione analitica.


Alla prossima puntata


Dssa Silvia Chieco Farina
Medico-Chirurgo
Specialista in Psicologia Clinica e Psicoterapia- Psicoterapeuta.
e-mail: chieco.silvia@libero.it
e-mail: silvia.chieco@gmail.com

Dr. Paolo Bucci
Psicologo, Psicoterapeuta.
Socio fondatore dell’Istituto Psicoanalitico di Formazione e Ricerca “Armando Ferrari”.
e-mail: unobino@gmail.com